Vita Chiesa

Dai santi impariamo lo stupore

«Prendete e mangiate… Bevetene tutti» (Mt 26,26s). Non si può «mangiare» il Risorto, presente nella figura del pane, come un semplice pezzo di pane: «mangiare questo pane è comunicare, è entrare nella comunione con la persona del Signore vivo». Quanto ci fanno pensare queste parole, rivolte dal papa Benedetto XVI il 26 maggio scorso ai quarantamila fedeli che hanno gremito il piazzale antistante la Basilica di san Giovanni in Laterano in occasione ddella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo! Con queste parole il Santo Padre ci invita ancora una volta alla consapevolezza dei nostri gesti di fede.

C’è da chiedersi: noi cristiani del XXI secolo, abituati e dalla stessa Chiesa incoraggiati alla frequenza eucaristica – senza la Domenica, infatti, non possiamo vivere, ci ha opportunamente ricordato il Congresso eucaristico nazionale appena concluso – con quale atteggiamento ci accostiamo alla comunione con il Ciorpo e Sangue di Cristo che riceviamo nel pane e nel vino consacrati durante la Messa?Quanti di noi non sono più giovani ricordano le indicazioni in proposito alla preparazione alla Comunione del vecchio Catechismo di san Pio X, che a sua volta attingeva alla secolare esperienza dei santi. Proprio a questi ultimi, e tra questi ai nostri santi Francesco e Chiara d’Assisi, vorremmo oggi rivolgerci per spigolare accenni preziosi che possano ulteriormente illuminarci e aiutarci.Nella prima biografia di Santa Chiara leggiamo che «quando (la Santa) stava per ricevere il Corpo del Signore, versava prima calde lacrime e, accostandosi quindi con tremore, temeva Colui che si nasconde nel Sacramento non meno che il Sovrano del cielo e della terra» (Leggenda di Santa Chiara vergine, 28).

«Tremore e lacrime»: è lecito chiedersi a quale sentimento o esperienza spirituale fossero dovuti. Forse all’eccezionalità per Chiara di comunicare al corpo eucaristico del Signore? Nel medioevo infatti la frequenza all’Eucaristia era assai più rara che ai nostri giorni. O alla paura davanti al potente «sovrano del cielo e della terra»; o infine alla sospensione d’animo di chi si sente oggetto di una indicibile degnazione? Ciò che certamente dobbiamo cogliere oggi, in cui l’assiduità all’Eucaristia ci rende talvolta meno sensibili al Mistero, è la lezione di umile e innamorata esperienza di trascendenza che il testo ci trasmette.

Alla discepola fa eco l’incomparabile fraseologia del maestro, Francesco: «O ammirabile altezza, o degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’Universo, Dio e Figlio di Dio, così umili da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane!» (Lettere al Capitolo generale e a tutti i frati, 35-36).

L’esperienza dei nostri santi ci provoca dunque a una fede adorante che si coniuga con lo stupore per le grandi opere di Dio, opere tanto più grandi quanto più nascoste nell’umiltà dell’Incarnazione che soggiace al nostro quotidiano.a cura delle Clarisse di San Casciano Val di Pesa