Vita Chiesa

Benedetto XVI nella Sinagoga di Colonia

“Si tratta di un evento di estrema importanza non solo per la Chiesa e per la Germania, ma anche per tutta la comunità ebraica. Un evento che verrà ricordato dai posteri”. Lo ha detto Paul Spiegel, presidente del Comitato centrale degli ebrei tedeschi, nel corso di una conferenza stampa a proposito della visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Colonia, nella mattina di venerdì 19 agosto. “È un evento di estrema rilevanza per gli ebrei tedeschi, morti in 11mila nel corso della seconda guerra mondiale – ha aggiunto Spiegel -. Credo che dalla Gmg stiano partendo tanti segnali. Se non ci fosse stata la Giornata mondiale della gioventù non ci sarebbe stata la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga. Per questo siamo grati ai giovani e siamo grati al Papa”.

Spiegel ha poi detto: “Il richiamo di Benedetto XVI alle radici cristiane è di particolare rilevanza: si tratta di un segnale importante per tutti coloro che hanno ancora pregiudizi nei confronti dei giudei. Sono rimasto impressionato nel contenuto e nella forma del passaggio del discorso riferito ai crimini nazisti. È stata una condanna senza se e senza ma”.

“Due cose mi hanno colpito del discorso del Pontefice – ha detto Abraham Lehrer, membro del Consiglio della Comunità ebraica di Colonia, lo stesso che oggi ha chiesto al Papa di aprire in modo completo gli archivi del Vaticano – l’invito al dialogo, fondamentale per il futuro, e l’invito ad essere sempre vigili per evitare che l’antisemitismo possa riemergere”.

“Questa mattina c’è stato un evento con una carica storica straordinaria”. Lo ha detto Joaquin Navarro-Valls, portavoce della sala stampa vaticana, commentando con i giornalisti la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Colonia. “Per me personalmente – ha detto il portavoce – si coglievano questa mattina immagini molto diverse ma che avevano un’eloquenza comune. Mi sono venute alla mente la visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma e le immagini della visita al muro dello Yad Vaschem a Gerusalemme. La visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Colonia, decisa per iniziativa propria, va in qualche modo a formare un assemblaggio di immagini con quelle due precedenti. Immagini che non devono considerarsi chiuse ma segnano un dialogo che mira al futuro”. Navarro-Valls ha poi detto che il Papa ha regalato alla Comunità ebraica un fac-simile del “Codice Vaticano”, preparato proprio per questa occasione e di cui esistono solo pochissime copie. Il Codice Vaticano é la prima versione greca della Bibbia ebraica fatta ad Alessandria di Egitto la cui stesura é terminata nel II secolo A.C.

Alla domanda se è previsto un viaggio del Papa in Terra Santa, Navarro ha risposto che “non c’è in agenda nessun viaggio per adesso”, anche se “ci sono molti inviti”. Riguardo infine all’incidente diplomatico avvenuto a fine luglio con Israele, ha detto: “C’è stato un rilievo, c’è stata una risposta. L’incidente é stato chiarito, credo che sulla questione non ci sia nulla da dire. Ma è importante saper distinguere quando un incidente avviene a livello puramente diplomatico oppure nei rapporti interreligiosi”.

“Sarebbe stato impensabile che in una città come Colonia dove c’è la più antica Comunità ebraica e dove durante la seconda guerra mondiale 11mila ebrei hanno perso la vita, il Papa non onorasse l’una e gli altri. Con questo gesto Benedetto XVI ha risottolineato tutti i grandi passi di dialogo del suo predecessore e l’intenzione di proseguire su questo cammino con tutta la sua forza”. Lo ha detto il card. Karl Lehmann, presidente dei vescovi tedeschi, commentando oggi ai giornalisti la visita del Santo Padre alla Sinagoga di Colonia. Riguardo alla richiesta degli ebrei di aprire gli archivi vaticani e alla volontà di approfondire la valutazione, dal punto di vista storico e teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo, il card. Lehmann ha sottolineato alcuni temi come “la valutazione della figura di Pio XII, la resistenza della Chiesa contro l’olocausto, la persistenza di un antisemitismo nel cristianesimo”. “Questioni – ha aggiunto il cardinale – su cui c’è ancora molto da fare”. Riguardo agli archivi (quelli della Congregazione della fede e quelli vaticani di cui una parte é stata già aperta) il cardinale ha spiegato che il Papa ha certamente intenzione di “andare avanti”.

Lehmann ha quindi parlato delle responsabilità storiche della Chiesa cattolica verso il popolo ebreo durante la Shoah. “Non vogliamo scusarci – ha affermato – dicendo che ci sono stati grandi esempi di cristiani e cattolici che hanno salvato migliaia di ebrei dalla persecuzione. Non vogliamo dire che il problema è risolto. È questa una questione che ci perseguiterà sempre e ricadrà anche sulle generazioni che non hanno vissuto la guerra. A noi e a loro, il Papa ha affidato un compito. Ci ha detto che mai più, mai più dovranno accadere simili tragedie”.

La scheda: le tappe del dialogo tra cattolici ed ebreiEra il 28 ottobre 1965 quando fu promulgata la Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”, esattamente 40 anni fa. Si può far risalire a quella data l’inizio nella storia di una visione nuova del rapporto tra la Chiesa cattolica e Israele. Ispiratore ne era Papa Giovanni XXIII, che, appena dopo la sua elezione (1958) disse agli ebrei, incontrandoli: “I am Joseph your brother – Sono Giuseppe vostro fratello”. Nel 1959 Giovanni XXIII abolì dalla liturgia la formulazione che parlava di “perfidi ebrei”. Tornando al Concilio, le ripercussioni in campo cristiano, alla pubblicazione della “Nostra Aetate” si fanno sentire non solo in ambienti cattolici. Seguono, infatti, dichiarazioni del Consiglio protestante belga nel 1967 e del Consiglio ecumenico delle Chiese, sempre nel 1967. Nel frattempo a Roma, ci si accorge che molto non era stato detto e così il 1° dicembre 1974 furono pubblicati gli “Orientamenti e Suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate”. Ha inizio in questi anni il pontificato di Giovanni Paolo II. Tra le sue primissime dichiarazioni al popolo ebraico spicca il discorso ai rappresentanti della Comunità ebraica della Germania federale (Magonza, 17 novembre 1980). È in questa occasione che Giovanni Paolo II pronuncia la frase, ripresa e ricordata oggi in molti incontri: “Il popolo ebraico dell’Antica Alleanza che non é mai sta revocata”. Ed ecco il 1986 quando Giovanni Paolo II – primo Pontefice nella storia – si é recato alla Sinagoga di Roma e c’è stato l’abbraccio con il rabbino della capitale Elio Toaff. In quell’occasione il Papa chiamò gli ebrei “fratelli maggiori” e disse: “La religione ebraica é in un certo qual modo intrinseca alla religione cristiana. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione”. A dicembre del 1993, arriva il riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede. Altra data importante, il 16 marzo 1998, giorno in cui la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ha pubblicato: “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah”. “Al termine di questo Millennio – si legge nel testo – la Chiesa cattolica desidera esprimere il suo profondo rammarico per le mancanze dei suoi figli e delle sue figlie in ogni epoca. Si tratta di un atto di pentimento (teshuva): come membri della Chiesa, condividiamo infatti sia i peccati che i meriti di tutti i suoi figli. Preghiamo che il nostro dolore per le tragedie che il popolo ebraico ha sofferto nel nostro secolo conduca a nuove relazioni con il popolo ebraico. Desideriamo trasformare la consapevolezza dei peccati del passato in fermo impegno per un nuovo futuro nel quale non ci sia più sentimento antigiudaico tra i cristiani e sentimento anticristiano tra gli ebrei, ma piuttosto un rispetto reciproco condiviso, come conviene a coloro che adorano l’unico Creatore e Signore ed hanno un comune padre nella fede, Abramo”.Sir