Vita Chiesa
La violenza dei fatti, la violenza delle parole
Anche le analisi sul perché della situazione sono state tutte ben espresse con varietà di colori. C’è chi ha sottolineato la componente religiosa; chi quella «strutturale», chi quella razzista, chi quella culturale, chi quella economica, chi quella demografica. Nessuno comunque ha concluso che non bisogna costruire le periferie.
E sulla base delle analisi ciascuno poi ha potuto confrontare la nostra realtà italiana con quella francese. Un esempio per tutti: se le nostre periferie sono come «ghetti» in cui vivono extracomunitari, musulmani, poveri, giovani senza lavoro… allora anche da noi potrebbe scoppiare una rivolta. Ma, in realtà, come sono le nostre periferie? Purtroppo questa è una domanda la cui risposta è profondamente condizionata dalla visione politica: il governo, che ne ha la diretta responsabilità, risponde «sono buone», chi contesta il potere del governo risponde «sono cattive».
Le parole sono veramente l’arma più forte dell’uomo: perché arrivano direttamente dentro, al cuore (al cervello) dell’altro. Quante parole nelle canzoni, a teatro, in TV, nella satira, nelle battute, apparentemente innocue anzi divertenti, per gli uomini più deboli e poveri risultano comandi, imperativi, inviti alla violenza, alla distruzione, alla reazione incontrollata.
In certi paesi si sfrutta la componente religiosa per motivare la violenza degli uomini e noi questo lo condanniamo. Ma quante nostre parole sfruttano il bisogno di libertà e il senso della giustizia per motivare e giustificare ogni tipo di violenza?