Vita Chiesa

Plotti: convertire le parrocchie ad una pastorale d’annuncio

di Riccardo BigiA che punto è la «conversione pastorale» delle parrocchie toscane? A che punto è il passaggio da una pastorale di conservazione, basata sui Sacramenti, a una pastorale missionaria, di annuncio e di evangelizzazione?È su questi interrogativi che si sono soffermati i Vescovi toscani, nell’ultima assemblea della Conferenza Episcopale Toscana, lunedì e martedì scorso a Lecceto.

«La preparazione al convegno di Verona – spiega l’arcivescovo di Pisa Alessandro Plotti, Presidente della Cet – è lo stimolo per riflettere sulla situazione delle nostre comunità, e su come stiamo attuando il tema generale che la Chiesa italiana si è dato per questo primo decennio del terzo millennio, “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”».

Mons. Plotti, qual è la situazione della Chiesa in Toscana?

«Può essere utile tornare a leggere i discorsi che Giovanni Paolo II ha fatto a noi vescovi toscani durante le “visite ad limina”. Nel 1991 ci invitava a “ricristianizzare una regione, dove tuttavia sono presenti tradizioni vive di pietà e di religiosità popolare”. Una terra, diceva il Papa, che “presenta segni di bassa pratica religiosa, di ateismo pratico, di consumismo e di influenza di gruppi di potere occulto”. Un invito dunque ad una nuova evangelizzazione, ripetuto nel 1999: “Sappiate guidare le comunità cristiane ad un costante annuncio della verità e ad una realizzazione concreta della carità”».

Attraverso quali strade passa questa nuova evangelizzazione?

«L’annuncio del Vangelo, per essere efficace, deve inserirsi nell’attuale contesto culturale, segnato da un avanzato processo di secolarizzazione ma anche da un diffuso bisogno religioso, seppure fragile e ambiguo. Mettersi in ascolto della cultura del mondo, per discernere i semi del Verbo già presenti in essa».

Cosa significa tutto questo, nella vita delle parrocchie?

«Le parrocchie devono darsi una chiara connotazione missionaria: è questo il significato della “conversione pastorale” di cui tanto si parla. Devono essere comunità vive, aperte. I Documenti più recenti della Cei evidenziano due pericoli: il rischio di creare comunità autoreferenziali, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; la percezione della parrocchia come agenzia che distribuisce servizi religiosi. In una società dinamica, mobile come quella di oggi si rischia di perdere il senso di appartenenza: per questo la parrocchia deve rappresentare per tutti un punto di riferimento».

Qual è, in questo cammino, il ruolo dei cristiani laici?

«La ministerialità e la corresponsabilità dei laici deve essere promossa, riconosciuta e valorizzata. Il laico spesso nella Chiesa è “cliente” o “utente”, oppure un mero esecutore della volontà del parroco. I laici invece devono essere i nuovi protagonisti nella trasmissione della fede, mediante una spiccata fisionomia missionaria. Non si tratta di ridistribuire i compiti oggi svolti dai preti, ma di individuare nuove opportunità e modalità di evangelizzazione, tipiche della condizione laicale».

La «conversione pastorale» comporta anche un rinnovamento del modo di fare catechesi?

«La formazione diventa un elemento fondamentale, sia l’impegno educativo verso i giovani e gli adolescenti, sia le iniziative rivolte agli adulti, ad esempio attraverso il coinvolgimento delle famiglie nella preparazione dei figli ai sacramenti. Oggi scuola, famiglia, parrocchia, mass media offrono modelli educativi diversi, spesso contrastanti. La parrocchia, se vuole incidere davvero nella cultura corrente, nella mentalità e nei comportamenti delle persone, deve integrarsi e dialogare con queste realtà».

Tutte queste problematiche confluiranno nel Convegno ecclesiale di Verona. Quali sono gli ambiti su cui lavorare, per dare concretezza a questo nuovo annuncio cristiano?

«Sono quelli proposti dal documento preparatorio del Convegno: la vita affettiva, il mondo del lavoro, la fragilità e la debolezza umana, la trasmissione dei valori della tradizione cristiana, l’appartenenza civile e sociale. Sono i cinque ambiti di vita nei quali, secondo la traccia, siamo invitati a dare forma storica alla nostra testimonianza».