Vita Chiesa
«A» come assoluzione, «s» come scomunica
E come Ergastolo. A tanto è stata condannata una giovane donna che ha ucciso i suoi quattro figli subito dopo averli dati alla luce. Se li avesse «eliminati» nei termini consentiti dalla legge sulla interruzione di gravidanza, sarebbe una donna libera. Dove sta la differenza? Dove il confine tra libertà e colpa? Nell’ignoranza? Non lo sapeva perché, penserà sicuramente un laicista, i suoi pregiudizi religiosi le hanno impedito di informarsi. Nella scelta del tempo? Più i figli sono piccoli meno grave è la loro oppressione. Nella visibilità? Un figlio «invisibile» è un oggetto, quello visibile un soggetto. Nella autonomia? Un figlio dentro la madre è corpo, uno fuori della madre è uomo.
S come Scomunica. Questa la condanna del vescovo di Locri contro chi «fa abortire la vita dei giovani uccidendo, e delle nostre terre, avvelenando i campi». Mi sono già sentito ripetere che la scomunica non serve a niente. Se uno è credente basterà che si penta e che confessi i peccati commessi; se uno invece non è credente non sarà certo la scomunica a convertirlo. Io credo che la scomunica serva alla Chiesa. È la Chiesa che dimostra il coraggio di dire una parola fortissima, perché molti oggi sono diventati sordi e scelgono di vivere con la solo regola della violenza e della distruzione. Ci vorrà pure qualcuno che dica loro che sono fuori regola. E siccome la regola è vivere insieme (comunione) rispettando persone e cose… chi agisce diversamente è fuori comunione (s-comunicato).