Vita Chiesa

Don Francesco: «In Africa per gettare semi di Vangelo»

di Giacomo Pantani«La vostra presenza in Ciad manifesta lo slancio missionario delle vostre comunità cristiane di origine». Era il 1990 quando Giovanni Paolo II parlava così ai sacerdoti di N’Djamena nel suo viaggio apostolico in Ciad. Ed è proprio questo slancio missionario sbocciato nel seminario di Massa Marittima e Piombino quello che maggiormente traspare dalle parole di don Francesco Guarguaglini, missionario da otto anni in Ciad e presente in questi giorni a Piombino.

Don Francesco è tornato nella sua diocesi di origine per accompagnare l’Arcivescovo di N’Djamena, Matthias N’Gartéri Mayadi, in Italia assieme agli altri vescovi del Ciad per la visita «ad limina» a Benedetto XVI e per incontrare la Conferenza Episcopale Toscana.

Don Francesco, nel 1998 sei partito in missione per il Ciad. Che cosa ti ha spinto a questa decisione?

«Già prima di diventare sacerdote, nel 1994, stavo maturando una riflessione, andata avanti per alcuni anni, su come rispondere alla chiamata di evangelizzare che il Signore mi aveva affidato. Dopo averne parlato con il mio Vescovo di Massa Marittima e Piombino, fui incoraggiato ad andare avanti in questo mio progetto. La Provvidenza volle che l’allora Vescovo di N’Djamena, mons. Vandame, si trovasse a Piombino. Così, dopo i primi contatti, partii per il Ciad insieme ad una coppia di sposi, Paolo ed Emanuela, che sono tornati in Italia due anni fa. Eravamo come una piccola cellula della diocesi massetana staccatasi dalla propria comunità per adempiere al dovere missionario proprio di ogni chiesa locale».

Quali sono, in concreto, i compiti affidati alla vostra missione?

«Il Vescovo di N’Djamena ci ha affidato una parrocchia nella periferia della città. Quindi potremmo dire che la nostra opera è soprattutto pastorale. Ma quando parli del Vangelo, l’impegno concreto a sostegno dei bisogni della gente viene di conseguenza, così come l’attenzione per i problemi di giustizia sociale presenti nel paese. Abbiamo anche messo in piedi una organizzazione mutualistica tra i cristiani della nostra parrocchia per aiutare chi ha bisogno di cure sanitarie, chi è malato e chiunque si trovi in situazioni di bisogno».

Quale è la situazione politica e sociale del Ciad?

«Il paese è abbastanza tranquillo, specialmente se confrontato con altre realtà africane. Dopo la guerra di quindici anni fa, il Ciad si è come spaccato in due, tra un nord musulmano ed un sud in maggioranza animista. Recentemente ci sono stati scontri per la presa del potere, ma solo in seno all’esercito, senza danni diretti per la popolazione. Inoltre in Ciad non ci sono divisioni etniche».

E come sono accolti i missionari?

«L’accoglienza della gente è sicuramente l’aspetto più bello della mia esperienza di missionario. L’essere missionario non ti differenzia dagli altri: vieni accolto come persona e giudicato per come aiuti la gente e per come condividi le loro sofferenze. Sono comunque molto apprezzate le scuole cristiane, sentite come un importante strumento di elevazione culturale da parte di tutta la popolazione».

Quali sono i rapporti con i musulmani?

«In Ciad i battezzati sono cresciuti molto negli ultimi anni ed oggi rappresentano circa il 20% della popolazione. Nella diocesi di N’Djamena i cristiani sono solo il 6% mentre l’85% è rappresentato dai musulmani. I rapporti con i musulmani sono cordiali e le attività parrocchiali in aiuto ai bisognosi sono rivolte indifferentemente a tutta la popolazione. Ci sono anche matrimoni misti senza che, da parte dei musulmani, sia richiesto l’obbligo di conversione. Questo perché in Ciad l’islamismo è molto tollerante anche se, negli ultimi anni, ci sono state delle influenze negative da parte del Sudan, con fondamentalisti islamici che aprono scuole integraliste in Ciad. Per fortuna non sono ben visti neanche dalla popolazione musulmana locale. Per quanto riguarda la nostra chiesa, sono tranquillamente permesse le manifestazioni religiose pubbliche, comprese le processioni, ed i fondamentalisti rappresentano, per ora, un’esigua minoranza».

E con le autorità politiche?

«Con le autorità politiche i rapporti sono certamente di rispetto reciproco, anche se spesso si vorrebbe impedire che la Chiesa si esprimesse su questioni di giustizia sociale. Ma i nostri vescovi sono sempre molto coraggiosi e continuano ad intervenire con lettere aperte per denunciare i problemi sociali di cui soffre la popolazione e per una moralizzazione della politica. Per ora questo non ha provocato conseguenze per la Chiesa».

La Chiesa in Ciad è in espansione: ci sono molte vocazioni?

«Nel Ciad ci sono otto diocesi ma un solo seminario: il Seminario Maggiore di San Luca. Vorrei subito smentire quello che spesso si crede in Italia, è cioè che in Africa i seminari siano pieni di giovani che cercano nel sacerdozio solo uno strumento di elevazione sociale. Il Seminario Maggiore è frequentato da circa cento seminaristi, ma ogni anno solo uno o due vengono ordinati sacerdoti. Questo dimostra la selettività ed il discernimento a cui sono sottoposti i seminaristi. Inoltre il Ciad ha ancora una forte vocazione alla famiglia ed il celibato sacerdotale è, per la cultura di questa popolazione, molto impegnativo. Comunque i cristiani sono in forte crescita in tutto il paese».

Un’ultima domanda, don Francesco: cosa speri per il futuro del Ciad?

«Lo scopo di noi missionari e di tutti i vescovi del Ciad è che la Chiesa diventi sempre più africana. Le nostre missioni sono “a tempo”. Dobbiamo evangelizzare e gettare il seme perché nuovi evangelizzatori africani proseguano la nostra opera. Io sono partito per restare dieci anni e quindi tra due anni tornerò in Italia. Ho ricevuto tanto da questa Chiesa africana, soprattutto il vedere tanti cristiani che, convertendosi, cambiano davvero la loro vita. Mi porterò soprattutto questo con me quando tornerò nella mia diocesi di Massa Marittima e Piombino. Con in più un sogno: vedere i cristiani come segno di speranza per il futuro dell’Africa».