Vita Chiesa

L’Unitalsi a servizio delle diocesi

di Andrea ZanottoGremitissima la sala dell’hotel Galilei, a Pisa, dove sabato scorso si è svolto il convegno regionale dell’Unitalsi intitolato L’Unitalsi testimone di carità nella Chiesa locale.

Dopo i saluti di Riccardo Loni, presidente della sottosezione di Pisa, sono intervenuti Mario Coda Nunziante, presidente regionale, quindi monsignor Mario Meini, vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello, e l’arcivescovo di Pisa monsignor Alessandro Plotti. Il presidente regionale ha posto l’accento su come, per i cattolici «sacra deve essere la vita di tutti. Non ci sono vite di serie A e di serie B, o addirittura serie Z; la vita va sempre difesa».

Monsignor Mario Meini ha sottolineato come l’Unitalsi costituisca una parte fondamentale e insostituibile della chiesa: «ci sarà sempre qualcuno – ha detto – che avrà il volto della carità nei confronti dei malati e dei disabili; e la chiesa non può rinunciare a questo volto, perché non sarebbe più chiesa». La carità, ha detto, deve «essere sempre pienamente gratuita. Nell’aiuto agli altri non si deve cercare una gratificazione personale; la gratuità è tale solo se è gratuita fino in fondo».

Ha poi parlato della centralità della figura del vescovo, «successore degli apostoli» cui tutte le associazioni, compresa l’Unitalsi, debbono fare costante riferimento. Citando un detto africano – «niente senza il vescovo; niente senza l’apporto dei presbiteri, niente senza il consenso del popolo» – ha sottolineato l’importanza dell’apporto di notizie, consigli, informazioni, che i membri dell’Unitalsi possono fornire ai loro vescovi, in modo che siano informati e possano prendere le decisioni più corrette. «Senza l’Unitalsi e senza l’impegno degli ulitalsiani il vescovo è più povero, e potrebbe sbagliarsi per colpa del loro silenzio».

L’arcivescovo Alessandro Plotti – che a lungo ha guidato l’Unitalsi nazionale, prima come assistente ecclesiastico poi come presidente – ha sviluppato il proprio intervento in tre punti. In primo luogo ha sottolineato la necessità «di intensificare la formazione spirituale ed ecclesiale di coloro che fanno parte dell’arcipelago di associazioni e movimenti. Attraverso il servizio alle associazioni – ognuna con carismi diversi – si deve essere capaci di formare un’unica chiesa».

Ha quindi spronato «le comunità parrocchiali a fare di più per reintegrare realmente i malati, gli anziani, i disabili, senza limitarsi a qualche visita saltuaria». Una testimonianza evangelica di vicinanza verso gli ultimi all’interno di un mondo dove «prevale la corsa all’efficienza, alla produttività, e il disabile è considerato come un vulnus, una ferita aperta da relegare in un angolo». Da ultimo l’arcivescovo ha invitato tutti, ma soprattutto i giovani, a «portare nello stato e negli enti locali lo spirito cristiano di servizio, di amore; perché si evangelizza anche inserendosi nei gangli della società e facendo in modo che lo stato sociale sia la prima preoccupazione della nostra società, che altrimenti non potrebbe dirsi democratica».