Vita Chiesa
La Chiesa fiorentina ricorda Don Milani
Barbiana, 26 giugno 2007. Vescovi e clero della Chiesa fiorentina oggi, con questa celebrazione, intendono onorare la memoria di un grande prete fiorentino. Un prete che in vita ha avuto contrasti con il Vescovo, e con altri preti. Allora non era facile capire don Milani: ma con il tempo si chiariscono tante cose, e oggi siamo tutti concordi nel riconoscere il valore evangelico della testimonianza di don Milani e il suo radicamento nella Chiesa. Così il cardinale Ennio Antonelli, Arcivescovo di Firenze, ha iniziato la sua omelia questa mattina, sul piazzale davanti alla chiesa di Barbiana, nella Messa per i quarant’anni dalla scomparsa di don Lorenzo Milani. Oltre duecento persone sono salite per l’occasione sulle pendici del Monte Giovi, in quest’angolo del Mugello: tra di loro anche l’assessore alla cooperazione internazionale, alla riconciliazione e alla pace della Regione Toscana Massimo Toschi.
La Chiesa fiorentina ha proseguito il cardinale Antonelli – qui presente con i suoi vescovi e numerosi preti, riconosce pubblicamente la grandezza e l’autenticità di questo suo prete. Rende grazie a Dio per questo diamante trasparente e duro, come lo definì il suo confessore e padre spirituale don Raffaele Bensi: un diamante tagliente, che doveva ferirsi e ferire: ma lo ha fatto solo per amore di Dio, dei poveri e della Chiesa.
Antonelli ha sottolineato l’attaccamento di don Milani alla Chiesa, e in particolare al sacramento della confessione: Si confessava spessissimo, ed era sempre disponibile a confessare gli altri. Un attaccamento che don Milani conferma in alcune sue lettere: prima di ogni altra cosa, scrive, mi premono i sacramenti: avere il perdono e poterlo dare, basterebbe questo per desiderare di essere prete. Delle mie idee, afferma in un’altra lettera, non mi importa nulla: io nella Chiesa ci sto per i sacramenti, non per le idee. Così – ha sottolineato l’Arcivescovo di Firenze – il prete che aveva lanciato, nei confronti delle autorità militari e civili, lo slogan secondo cui l’obbedienza non è più una virtù, nei confronti della Chiesa era obbedientissimo. Desiderava il dialogo, suscitava dibattiti e conflitti; ma alla fine era sempre pronto all’obbedienza.
Antonelli ha ricordato poi l’impegno di don Milani in parrocchia: fin dal suo primo incarico, come viceparroco a Calenzano, fu dolorosamente colpito dalla incoerenza dei parrocchiani. Non vedeva differenze nella vita quotidiana tra credenti e non credenti, tra democristiani e comunisti. Percepiva, sotto le espressioni della religiosità popolare, una profonda mancanza di fede. Intuiva l’esigenza di quella che Giovanni PaoloII, poi, avrebbe chiamato la Nuova Evangelizzazione. Anche l’impegno nella scuola, ha sottolineato l’Arcivescovo di Fitrenze, nasceva dal desiderio di preparare il terreno, attraverso la promozione umana, alla diffusione del Vangelo: il prete, diceva, deve prima di tutto abbattere il muro dell’ignoranza che impedisce ogni comunicazione. Un metodo pastorale, quello di don Milani, che secondo Antonelli non è da generalizzare, e per certi versi può essere anche discutibile: ma è fuori di dubbio che la sua battaglia culturale e sociale deriva dall’essere prete, non è legata all’ideologia. Il comunismo secondo don Milani non vale nulla, è una dottrina senza amore. Lo stesso don Lorenzo aveva il senso del limite della sua esperienza: alla Chiesa fiorentina ha chiesto più volte un riconoscimento ufficiale della bontà e dell’ortodossia sua opera, ma non pretendeva che la sua ricetta fosse additata come la migliore forma di apostolato.
Lo speciale sul quarantennale di Don Milani