Vita Chiesa
Il Papa e la Chiesa dalla parte del futuro
di Giuseppe Savagnone
Forse il filo conduttore dei discorsi di Benedetto XVI ai giovani, nel corso della sua visita in Australia, può essere individuato nella scelta della Chiesa di dare voce a chi non ha voce. Alla terra, innanzi tutto: «Erosione, deforestazione, sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo», ha detto il Papa, feriscono la natura e a volte la trasformano in una minaccia.
Agli uomini e alle donne emarginati: il Pontefice, a questo proposito, ha invitato i ragazzi e le ragazze che lo ascoltavano a chiedersi «quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigrati, i privi di voce». Non per caso egli ha voluto incontrare per primi gli aborigeni, i superstiti di una popolazione che i cristianissimi colonizzatori europei hanno massacrato spietatamente.
Agli esseri umani non ancora nati e uccisi: «Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?». La tematica sociale e quella bioetica sono apparse, nel discorso del Pontefice, strettamente legate: «Senza una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale», ha detto Benedetto XVI, «non si comprendono le preoccupazioni per non violenza, sviluppo sostenibile, giustizia e pace, cura, ambiente». In entrambi i casi, sono i più deboli, gli stranieri (in fondo è tale anche il concepito), coloro che non hanno i mezzi per imporsi o almeno difendersi, ad essere le prime vittime di questo clima culturale e sociale.
Ai piccoli abusati da indegni preti pedofili: «Davvero sono profondamente addolorato per il dolore e la sofferenza subita dalle vittime e assicuro loro che come loro pastore anche io condivido la loro sofferenza».
È rientrato in questa ampiezza di sguardo anche l’equilibrio con cui il Pontefice ha saputo contemperare la coraggiosa denuncia delle situazioni del presente e la speranza nel futuro. L’incombere dei pericoli, il peso delle difficoltà, l’amarezza delle colpe e degli errori, non devono far perdere di vista i germi fecondi che stanno maturando, soprattutto nel cuore dei giovani: «Il nostro mondo ha detto si è stancato dell’avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte ipocrite, e della pena delle false promesse: il nostro cuore e la nostra mente anelano a una visione della vita dove regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato di verità e dove l’identità sia trovata in comunione rispettosa».
Sì, mentre ciò che è vecchio tramonta, qualcosa sta nascendo. E la Chiesa, che è rimasta la sola a testimoniare la verità delle creature indifese e del loro Creatore, sta dalla parte del futuro. Forse è soprattutto questo che il Papa ha voluto dire alle ragazze e ai ragazzi del mondo intero.