Vita Chiesa
Diario dal Sinodo: anche l’arte è un modo di predicare il Vangelo
Mons. Timothy Verdon, Canonico di Santa Maria del Fiore e Direttore dell’Ufficio per la Catechesi attraverso l’arte della Diocesi di Firenze, è uno degli «Adiutores» (esperti nei campi della teologia e della cultura) chiamati da Benedetto XVI a partecipare al Sinodo. In questo articolo ci racconta l’inizio del Sinodo.
di Timothy Verdon
La XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, apertasi a Roma domenica 5 ottobre con la solenne celebrazione presieduta da Benedetto XVI nella basilica di San Paolo fuori le mura, è incentrato sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Nella prospettiva pastorale della Chiesa Cattolica, l’argomento completa l’indirizzo dell’analogo Sinodo Generale di tre anni fa, nel 2005, sull’Eucaristia: i due temi infatti corrispondono alle due parti della nostra Messa, la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica; già il documento del Secondo Concilio Vaticano sulla Parola di Dio sottolineò il rapporto tra le due realtà, rilevando che «la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo di Cristo» (Dei Verbum 21).
Benedetto XVI ha poi voluto collegare il tema di quest’anno alla questione ecumenica: parlando ai membri del Consiglio Ordinario del Sinodo dei Vescovi alla fine della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani nel 2007, ricordava che la Parola di Dio è destinata a tutti i discepoli del Signore e perciò «richiede speciale venerazione e obbedienza, affinché sia accolta anche quale urgente richiamo alla piena comunione tra i credenti in Cristo»; essa infatti è «viva ed efficace» (cfr Eb4,12), ed illumina il nostro cammino nel pellegrinaggio terreno verso il pieno compimento del Regno di Dio. Con l’invito al Rabbino Capo di Haifa a parlare all’Assemblea nel primo giorno del Sinodo, il pontefice ha inoltre voluto enfatizzare la centralità della Parola scritturistica nei rapporti tra Cristiani ed Ebrei, nonché – per estensione – con l’altra grande «religione del Libro», l’Islam. La celebrazione d’apertura del Sinodo, non in San Pietro come al solito, ma nella basilica extra moenia in cui si venerano i resti dell’Apostolo delle Genti, aveva questo alto significato
Tra le molteplici tematiche proposte alla considerazione dei Padri Sinodali, vi è anche quella dell’impatto delle Scritture sulla cultura umana, e quindi sulle forme creative con cui l’uomo esprime il senso del proprio essere, tra cui l’arte. L’attenzione al potenziale delle immagini nella pastorale è tipica del pensiero di Benedetto XVI, il quale – ancora cardinale - affermava che «dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio, questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico» (Compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica, Introduzione).
Pur essendo, con l’Ebraismo e l’Islam, una «religione del Libro», il Cristianesimo ha in effetti assegnato alle immagini un ruolo che va oltre la mera illustrazione di testi sacri: un ruolo riconosciuto da Giovanni Paolo II nel 1999 con la straordinaria ammissione che «per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte» (Lettera agli artisti). Già un altro papa del Novecento, Paolo VI, aveva spiegato questo «bisogno» quando, rivolgendosi ad artisti, scrittori e musicisti nel 1965, affermò che «da lungo tempo la Chiesa ha fatto alleanza con voi; voi avete edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. Voi l’avete aiutata a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere sensibile il mondo invisibile» (Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, 8 dicembre 1965).
Il rapporto del Cristianesimo con le immagini è infatti unico nella storia delle religioni, perché laddove in altri sistemi di fede l’arte illustra contenuti il cui baricentro rimane altrove, nel Cristianesimo l’arte conduce, per la sua stessa natura, al cuore della cosa creduta: al paradosso cioè un Dio spirituale che ha voluto esprimersi in forma materiale. «Un tempo, non si poteva fare immagine alcuna di un Dio incorporeo e senza contorno fisico», ricorda il più strenuo difensore delle immagini cristiane, san Giovanni Damasceno, evocando il divieto biblico ad ogni raffigurazione della Divinità. «Ma ora Dio è stato visto nella carne e si è mescolato alla vita degli uomini», continua, «così che è lecito fare un’immagine di quanto è stato visto di Dio» (Discorso sulle immagini). Scrivendo nel contesto dell’interdizione delle immagini da parte dell’imperatore di Bisanzio, l’iconoclasta Leone III nel 730, questo autore – nato cristiano in un Damasco allora sotto controllo musulmano – riafferma il nesso tra l’Incarnazione del Verbo e l’uso delle immagini, soprattutto quelle che raffigurano Cristo stesso, Parola di Dio fattasi carne.
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