Vita Chiesa
L’importanza della tappa giordana. Intervista a mons. Sayegh
Amman, 6 maggio 2009. Monsignor Salim Sayegh (74 anni), vescovo ausiliare del patriarca latino di Gerusalemme e suo vicario per la Giordania. Sul vicariato cattolico latino di Amman sventolano decine di bandiere di Giordania e Vaticano mentre nell’atrio sono accatastati poster e striscioni che raffigurano il Papa e re Abdallah II. È qui l’ufficio centrale dell’organizzazione del viaggio di Benedetto XVI e monsignor Salim Sayegh, vicario episcopale per la Giordania del patriarca latino di Gerusalemme, a soli due giorni dall’arrivo del Pontefice non nasconde il suo entusiasmo: «Per noi la visita del Papa è prima di tutto una grazia del Signore», mi dice subito. «Il Santo Padre apre il cielo alla Giordania, a Israele e Palestina: speriamo che tutto aiuti a portare la pace che è un dono di Dio e per la pace proprio il Papa per primo sta pregando».
Papa Benedetto non ha scelto Tel Aviv ma Amman come porta d’ingresso in Terra Santa. Che significato ha la sua scelta?
«Il pontefice conferma una tradizione dei Papi moderni: già Paolo VI e poi Giovanni Paolo II scelsero di venire prima in Giordania per passare poi in Israele. Ormai è un fatto che i pellegrinaggi dei Papi iniziano in Giordania. Ma non è solo questione di tradizioni. Non è possibile davvero immaginare un viaggio del Papa in Terra Santa senza la Giordania. E dispiace un po’ che i media non lo capiscano e guardino di più alla seconda parte del viaggio senza forse considerare a dovere la prima. Tanti luoghi della Bibbia si trovano in Giordania, tante pagine dell’Antico Testamento non si possono capire senza la Giordania: pensiamo a Mosè e al Monte Nebo, ma anche alla guerra del re Davide contro i moabiti, che si svolse qui in Giordania. Per non parlare del Nuovo Testamento. Giovanni il Battista battezzava al di là del Giordano, questo è chiaro, e il luogo di Betania in Transgiordania è quello che ha trovato maggiori conferme di tipo archeologico e da parte delle relazioni di viaggio dei pellegrini dei primi secoli. È li, secondo l’evangelista Giovanni, che è iniziata la vita pubblica di Gesù. È li che Gesù ha chiamato i primi discepoli e ha detto a Pietro: “Tu sei Pietro”. Per noi giordani questo è il luogo cristiano per eccellenza, tanto che ogni anno facciamo due diversi pellegrinaggi nazionali, uno latino e uno ortodosso, dove siamo una presenza visibile anche di fronte ai musulmani. Non si può davvero immaginare la visita del Pontefice senza partire dal sito del battesimo. Il Santo Padre benedirà la prima pietra della chiesa cattolica, i cui lavori sono iniziati dieci mesi fa, sarà una grande chiesa nel cui cortile potranno stare 7-8 mila fedeli. Li metteremo due comunità religiose differenti per accogliere i pellegrini. E quando ci andrà il Papa rinnoverà le sue promesse battesimali, come faranno dopo di lui tutti i pellegrini che vi passeranno».
Che sentimenti ha la Chiesa di Giordania nei confronti della visita di Benedetto XVI?
«Vedere il Santo Padre, i patriarchi, i sacerdoti, i religiosi, e il popolo dei fedeli tutti insieme è una grazia che non si può descrivere. Prergare per lui e con lui. E lui che prega per noi e con noi. La cosa più bella di questo viaggio, poi, è che appena lasciato l’aereoporto, il Papa la sua prima visita la farà ai più poveri dei poveri: gli handicappati del centro Regina Pacis e con loro ai giovani che sono il futuro della patria e della stessa Chiesa. I giovani in queste settimane hanno preparato una lettera per lui e gliela consegneranno. Proprio loro hanno avuto un ruolo fondamentale in questa visita: ben 314 giovani si sono impegnati nell’organizzazione, ciascuno secondo le sue attitudini. Sono da settimane al lavoro giorno e notte… e vederli è bellissimo. Sempre per i giovani il Papa farà un’altra cosa molto importante: benedirà la prima pietra dell’università di Madaba, la prima università cattolica della Giordania che, siamo sicuri, aiuterà a costruire una società più accogliente e capace di dialogo: avrà 7 facoltà e circa 40 specializzazioni, scientifiche e non. Questa università la volle e la benedisse già Giovanni Paolo II e questo Pontefice continua l’opera. Ad aiutare nell’organizzazione ci sono anche le comunità religiose che accolgono e fanno la loro parte. Tutte le funzioni del popolo cristiano sono al lavoro per la visita del Papa. La Chiesa latina e la Chiesa melchita (i cattolici di rito greco – ndr) stanno davvero facendo molto».
Perché è cosi importante la visita al centro Regina Pacis?
«La Giordania ha dati impressionanti: almeno il 10 per cento degli abitanti sono portatori di handicap anche se le stime ufficiali sono molto più basse. Verosimilmente però mezzo milione di giordani hanno un problema di disabilità. Ci siamo detti anni fa: cosa possiamo fare? Apriamo un centro che si prenda cura di alcune decine di persone… Lo abbiamo fatto ma poi? Il problema è che molti hanno vergogna di dire che hanno un figlio disabile. Allora abbiamo deciso di andare contro corrente, la cosa fondamentale è sensibilizzare le famiglie, se avremo guadagnato le famiglie avremo vinto la guerra. Il fatto è che le famiglie cristiane sono solo il 3 per cento. Allora abbiamo pensato a un lavoro che coinvolgesse anche le famiglie musulmane».
E come hanno risposto?
«Non è stato facile convincere i cristiani a parlare di handicap e uscire dalla paura; e non è stato facile convincere i musulmani di poter lavorare insieme. ma alla fine è nato un primo gruppo composto da famiglie cristiane e musulmane, nella città di Akaba. E adesso ci sono gruppi in almeno dieci città; si tratta di persone attive nell’aiuto e nella sensibilizzazione. Si incontrano per parlare dei loro problemi e fanno delle marce in cui, con striscioni e altoparlanti, animano la città e lanciano messaggi che possano svegliare chi ha paura. A queste marce partecipano migliaia di persone e sono molto forti. È un lavoro, tra l’altro, che – essendo fatto insieme – implicitamente si oppone al fondamentalismo: a Madaba per due volte la partenza della marcia è stata dalla moschea con l’arrivo alla chiesa. La cosa più bella è che all’inizio di ogni incontro si prega insieme e silenziosamente ciascuno prega Dio misericordioso che ci aiuti. In una riunione, a Zerka, una donna musulmana con il velo si è messa alla mia sinistra. Io ho invitato tutti a pregare Dio misericordioso e ho detto nel cuore il Padre nostro e fatto il segno della croce. La donna, alla fine della preghiera, maternamente si è chinata su di me e mi ha detto: «Grazie per avermi dato l’occasione di pregare». Ho visto realizzate le parole del Signore Gesù: «Mai vista tanta fede in Israele». È cosi: ci sono tante belle anime sincere».