Vita Chiesa

Il grido d’aiuto dei cristiani di Terra Santa

dall’inviato Riccardo Bigi

Noi cristiani della Terra Santa siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa». Così il Papa si è rivolto, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, ai fedeli riuniti per la Messa nella valle di Josafat, tra il giardino del Getsemani e le mura di Gerusalemme. «Spero che la mia presenza qui – ha aggiunto – sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre».

Il viaggio di Benedetto XVI che ha abbracciato Giordania, Israele e territori palestinesi ha avuto tante sfaccettature: gli aspetti che hanno avuto più risalto sono stati quelli politici, legati alle tensioni e ai conflitti di queste terre, alla difficile ricerca della pace, al dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani. C’è poi l’aspetto religioso, la possibilità che il Papa ha avuto di pregare nei luoghi santi della cristianità. Ma una delle «chiavi di lettura» di questo viaggio è sicuramente anche il messaggio che il Papa è venuto a portare ai cristiani di Terra Santa. Un messaggio di conforto e di incoraggiamento per una comunità piccola (si aggira appena tra il 2 e il 3% della popolazione) che risente drammaticamente di tutte le difficoltà del vivere in una regione segnata dai conflitti. Una comunità che si sta assottigliando negli anni, tanto da far temere di trovarsi di fronte, in un futuro non lontano, a vedere la terra di Cristo senza cristiani. «Trovandomi qui davanti a voi – ha detto loro Benedetto XVI – desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere». Il Papa ha fatto riferimento in particolare all’emigrazione di tanti cristiani verso l’Europa: «Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città».

Parole che il Papa ha ripetuto in tutti i suoi incontri con le comunità cristiane: al Cenacolo, alla basilica della Natività a Betlemme, al Monte del Precipizio a Nazareth. Parole che hanno dato, a questa gente, nuova speranza. Ce lo conferma il Patriarca Latino di Gerusalemme, Fouad Twal, che ha accompagnato il Papa durante il suo viaggio e che adesso invita i cristiani di tutto il mondo a seguirlo su queste strade: «Venite a vederci – è il suo appello -, a visitarci, a pregare con noi e per noi! Dateci la certezza che non siamo soli, che non siamo abbandonati, ma che formiamo, insieme con voi, una sola famiglia cristiana internazionale; dateci la conferma che formiamo insieme la Chiesa universale, nata dalla fede, dalla testimonianza e dalla predicazione degli apostoli».

È un appello che tanti ci ripetono, parlandoci delle loro difficoltà: rancori, vessazioni, maltrattamenti fanno parte della vita quotidiana. Case distrutte perché ritenute «illegali», difficoltà a muoversi per lavorare o studiare. «Vivere qui è difficile» racconta fra’ Jacques Frant, monaco greco-cattolico che vive a Taybeh, unico villaggio interamente cristiano della Palestina, e che è venuto a Betlemme per ascoltare Benedetto XVI. «Siamo felici – aggiunge – che il Papa sia venuto qui e abbia visto come vive la gente. Noi siamo cristiani ma anche palestinesi, e condividiamo il desiderio della nostra gente di poter essere libera di muoversi, di lavorare, di incontarsi». Proprio durante la Messa di Betlemme, il Papa ha affidato ai cristiani di Terra Santa anche un compito particolarmente importante: quello di essere «un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione». «Un compito difficile – commenta fra Jacques – che non possiamo portare avanti da soli. Abbiamo bisogno delle preghiere, del sostegno e dell’attenzione dei cristiani di tutto il mondo».