Vita Chiesa
Africa, un polmone spirituale che ha bisogno di pace
di Fabio Zavattaro
L’Africa delle guerre dimenticate, delle immense risorse che rappresentano una ricchezza ma anche la grande sfortuna del continente, costretto a subire sul suo territorio guerre decise da altri e combattute proprio in nome di quelle ricchezze. L’Africa che è quasi sempre raccontata per le sue povertà e malattie; per i conflitti etnici e la siccità; per la corruzione e la fame; per i bambini soldato. È a quest’Africa che papa Benedetto si rivolge aprendo, nella basilica vaticana di San Pietro, il secondo Sinodo dei vescovi per il continente, a 15 anni dal primo, voluto da papa Wojtyla nell’aprile del 1994. Tappa di «verifica e di rilancio», come la definisce, che si trova a riflettere su tre parole chiave: riconciliazione, giustizia e pace.
Non sono le povertà e le ingiustizie che Benedetto XVI mette in evidenza: certo ci sono e non possono essere ignorate. Ma c’è un altro volto del continente che trova cittadinanza nelle parole pronunciate davanti ai 244 padri sinodali, e cioè il volto delle «ricchezze» spirituali che il continente può offrire all’occidente. L’Africa, dice il Papa, «rappresenta un immenso polmone spirituale, per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza».
Il rischio oggi è che questo «polmone spirituale» possa ammalarsi; c’è un nuovo colonialismo è finito sul piano politico, ma non è mai del tutto terminato, dice il Papa che il continente rischia di subire, fatto di «pericolose patologie», le chiama così, che stanno «intaccando» quel patrimonio spirituale e culturale di cui l’umanità ha bisogno ancor più delle materie prime. La prima patologia è «una malattia già diffusa nel mondo occidentale, cioè il materialismo pratico, combinato con il pensiero relativista e nichilista». Il primo mondo sta, cioè, «esportando» e «ha esportato» quelli che il Papa definisce «tossici rifiuti spirituali, che contagiano le popolazioni di altri continenti, tra cui in particolare quelle africane». Poi c’è un secondo «virus» che potrebbe colpire il continente, «il fondamentalismo religioso, mischiato con interessi politici ed economici. Gruppi che si rifanno a diverse appartenenze religiose si stanno diffondendo nel continente africano; lo fanno nel nome di Dio, ma secondo una logica opposta a quella divina, cioè insegnando e praticando non l’amore e il rispetto della libertà, ma l’intolleranza e la violenza».
Oltre alle tre parole chiave che compongono il titolo di questo appuntamento «La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Voi siete il sale della terra voi siete la luce del mondo» il Papa propone tre ulteriori livelli su cui deve concentrarsi il lavoro dei padri sinodali: il primato di Dio, il matrimonio, i bambini.
Se il primo rappresenta un «tesoro inestimabile per il mondo intero», il senso profondo di Dio vissuto dal continente rischia oggi di essere attaccato, come abbiamo detto, da «patologie» che l’Occidente esporta, quasi tentativo di soffocare quella «assoluta signoria di Dio» che è «uno dei tratti salienti e unificanti della cultura africana».
Poi il matrimonio. Di fronte ai molteplici modi in cui il matrimonio è vissuto nelle culture africane, segnato spesso dalla poligamia e da una visione subalterna della donna, la Bibbia, afferma Benedetto XVI, ci presenta una realtà che «non esiste al di fuori della relazione con Dio». Una «suggestione» che viene prima di «ogni riflessione e indicazione di tipo morale»; per questo, afferma nell’omelia il Papa, «nella misura in cui custodisce e sviluppa la sua fede, l’Africa potrà trovare risorse immense da donare a vantaggio della famiglia fondata sul matrimonio».
Infine il terzo aspetto, «la realtà dell’infanzia, che costituisce una parte grande e purtroppo sofferente della popolazione africana». Il continente vive la realtà di uno sfruttamento dei minori che spesso non conosce limiti: è nella memoria di tutti l’immagine dei bambini soldato, rapiti dalle loro famiglie e costretti a combattere contro la loro volontà. L’infanzia di cui parla il Papa è anche quella dei più piccoli, anche dei non nati, nei quali la Chiesa non vede «primariamente dei destinatari di assistenza, meno che mai di pietismo o di strumentalizzazione, ma delle persone a pieno titolo, che con il loro stesso modo di essere mostrano la via maestra per entrare nel Regno di Dio, quella cioè di affidarsi senza condizioni al suo amore».
È dunque a questo continente, l’Africa delle grandi ricchezze, spirituali soprattutto, «terra feconda di vita umana» spesso segnata «da tante povertà» e che «patisce talora pesanti ingiustizie», che guarda la Chiesa che si ritrova in questo mese di ottobre, il mese missionario, a riflettere in quello che non è «un convegno di studio» o una «assemblea programmatica». In trent’anni, dal 1978, il numero dei cattolici nel continente è triplicato, raggiungendo la cifra di circa 165 milioni. Non è certo solo ai numeri che bisogna guardare, e il Papa, nella sua riflessione, lo chiarisce bene quando dice che per diventare luce del mondo e sale della terra occorre puntare sempre più alla misura alta della vita cristiana, cioè alla santità».
Le differenze tra etnie lungi dal fomentare guerre e divisioni devono diventare «motivo e stimolo per un reciproco arricchimento umano e spirituale». In una realtà fatta di povertà, ingiustizie, violenze e guerre, la Chiesa può dare il suo grande contributo, perché la sua vocazione «è quella di essere profezia e fermento di riconciliazione tra i vari gruppi etnici, linguistici ed anche religiosi, all’interno delle singole nazioni e in tutto il continente. La riconciliazione, dono di Dio che gli uomini devono implorare e accogliere, è fondamento stabile su cui costruire la pace, condizione indispensabile per l’autentico progresso degli uomini e della società, secondo il progetto di giustizia voluto da Dio».
Ma non può dimenticare, il Papa, i conflitti che ancora insanguinano la terra africana, le «guerre dimenticate» e quelle che trovano posto, se così possiamo dire, nelle cronache, come i gravi episodi di violenza in Guinea. Dialogo, riconciliazione, giustizia, pace: sono le parole che usa per chiedere alle parti di sospendere le violenze e trovare un terreno comune per costruire il futuro del Paese. Angelus che non può ignorare, assieme ai grandi temi del Sinodo per l’Africa, le sofferenze per le tante vittime provocate dalle violente calamità naturali come lo tsunami nelle isole Samoa e Tonga, il tifone nelle Filippine, e il devastante terremoto in Indonesia. O, come ancora, l’alluvione in Sicilia, a Messina. Vite umane stroncate, persone disperse e senza tetto. La preghiera del Papa è per tutte le vittime, per quanti sono stati toccati dalla perdita dei loro cari, per tutti gli sfollati. Una preghiera che è anche appello alla solidarietà e al sostegno della comunità.