“Quelli trascorsi con il Santo Padre che veniva sui passi di Gesù e nei luoghi della Redenzione sono stati giorni stupendi. Fu una grande esperienza vedere questo pellegrino che con tanta fede e venerazione ritornava sui luoghi che videro la presenza di Cristo, di san Pietro e degli Apostoli”. Comincia così il racconto di padre Giovanni Battistelli del pellegrinaggio giubilare di Giovanni Paolo II in Terra Santa (20-26 marzo) nel 2000. Il religioso francescano, all’epoca era custode di Terra Santa, ed in quella veste accompagnò il Pontefice polacco in pressoché tutte le visite. A distanza di 11 anni racconta al SIR quel viaggio che senz’altro può essere considerato come uno dei principali e dei più significativi di Giovanni Paolo II. “Il Papa era già sofferente ma con tanta forza e volontà giungeva in questi luoghi vivendoli in prima persona e aiutando noi, che pure lì abitavamo, a percepirli in tutto il loro profondo significato. Ricordo la sua commozione davanti agli olivi del Getsemani e la sua discesa alla Grotta di Betlemme dove ogni passo era un sospiro di amore”. Un tutt’uno. “L’annunzio della visita venne dato il giorno della festa di san Pietro (29 giugno) del 1999 quando stavamo completando la Settimana di santificazione del clero che si era svolta a Nazareth. La gioia per quella notizia fu immensa così come lunga fu la preparazione. Da parte vaticana non vennero poste particolari condizioni, se non quella di accogliere il Papa come un pellegrino e di preparare le comunità cristiane locali, le pietre vive che vivono accanto ai luoghi santi, a questo pellegrinaggio per essere un tutt’uno. Vennero coinvolte tutte la fasce della popolazione, in particolare i giovani, che affollarono il 24 marzo il monte delle Beatitudini. Ci fu una partecipazione corale che è rimasta indelebile”.Il dialogo della sofferenza. “Altre fotografie che non sbiadiscono sono quelle della sua visita al campo profughi di Dheisheh, nei pressi di Betlemme, nei Territori autonomi palestinesi e al memoriale dell’olocausto dello Yad Vashem. Due profondi momenti di dialogo. Nel primo lanciò l’appello ai profughi a non dimenticare mai la dignità di essere figli di Dio, mentre nel secondo si fece accompagnare da alcuni ebrei che lui stesso aveva salvato in Polonia. Giovanni Paolo II ha sempre testimoniato e condiviso la sofferenza con chi, nella sofferenza, si trova a vivere. La sofferenza come cifra del dialogo”.Uomo di preghiera. “Il biglietto messo nelle fessure del Muro del Pianto, la sua preghiera raccolta in quegli attimi hanno mostrato un Papa che viveva profondamente la vita divina. Non disdegnava di chiedere perdono, dialogo e fratellanza con le persone che incontrava. E lo faceva in virtù di una intensa vita di preghiera. I racconti del suo segretario, mons. Stanislaw Dziwisz, ce lo ritraevano con la testa raccolta tra le mani e con tanti biglietti per ricordare tutte le intenzioni di preghiera. Un’incessante preghiera di intercessione”. Il Santissimo vicino. “Ricordo che quando arrivò nella sua residenza ricavata al secondo piano della Delegazione apostolica a Gerusalemme, volle avere, vicino alla sua stanza, la cappella con il Santissimo che invece era stata prevista al piano terra. Volle far salire Gesù al secondo piano e fece scendere al primo il suo segretario, mons. Dziwisz. La luce di quella cappella rimaneva accesa per lungo tempo dopo la fine di ogni giornata perché Giovanni Paolo II passava moltissimo tempo in raccoglimento, preparandosi così per il giorno seguente. Riusciva a cogliere, in questa maniera, il significato divino di ogni Luogo Santo che visitava e a viverlo intensamente. Durante un’udienza concessami circa un mese prima del viaggio il Pontefice mi disse che si stava preparando ai santuari per rivivervi tutte le azioni compiute da Cristo”.La salita al Calvario. “Alla fine del pontificale, al Santo Sepolcro, #26 marzo# Giovanni Paolo II passando davanti alla pietra dell’unzione chiese, guardando in alto, se quello vicino fosse il Calvario. L’entourage del Pontefice proseguì verso l’uscita. Più tardi, durante il pranzo in nunziatura, il Pontefice mi chiamò per dirmi che non era salito al Calvario. Feci presente la richiesta al nunzio, mons. Pietro Sambi, che mi espose tutta la difficoltà di tale richiesta, dato anche l’enorme problema di sicurezza. Il Papa mi reiterò la richiesta che fu accolta solo quando, dopo un breve riposo pomeridiano, disse deciso: ‘Non mi muovo di qui se prima non saliamo al Calvario’. Con grande sorpresa dei tanti presenti il Papa tornò al Santo Sepolcro e si recò al Calvario. Gli ortodossi gli misero a disposizione, in un atto gentilissimo, un genuflessorio destinato al patriarca greco-ortodosso. Ci chiese di pregare perché potesse tornare in quei Luoghi, ma il suo Golgota fu Roma e il Policlinico Gemelli”.