Vita Chiesa

Preti toscani a convegno: «La vita buona dei presbiteri»

Alle porte di Firenze, dove sorge il maestoso complesso della Certosa del Galluzzo, giovedì 19 maggio si è svolto il consueto incontro dei presbiteri della Toscana. Di solito, ogni due anni la Commissione regionale del Clero offre l’occasione di un incontro di spiritualità e di formazione teologico-pastorale in un clima di cordiale fraternità. Quest’anno all’inizio del nuovo decennio pastorale in cui la Cei ha messo a tema le realtà educativa, è stato chiesto a mons. Giovanni D’Ercole Vescovo Ausiliare dell’Aquila di darci il suo contributo di riflessione di testimonianza.

Dopo gli arrivi e l’accoglienza c’è stato il saluto del Vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello Guglielmo Borghetti, Presidente della Commissione Presbiterale Regionale. Dopo l’Ora Media mons. d’Ercole ha tenuto la sua riflessione sul tema «Educare alla vita buona dei presbiteri». Ha esordito parlando de L’Aquila dove, ha detto, «da due anni tutto è fermo dopo il terribile e devastante terremoto. In questo contesto di profonde ferite e di illusorie promesse di una vera ricostruzione si snoda la missione del prete e della comunità diocesana». Secondo mons. D’Ercole, «Occorre mettere a fuoco e accentuare ciò che siamo. Educare noi stessi e la gente al senso di Dio e della felicità. Recuperare la speranza che ci è stata donata e che in definitiva, è Cristo Risorto, vivo presente e operante in mezzo a noi con la potenza del suo Spirito. Lui ci ha promesso “Io sono sempre con Voi”. Abbiate viva e sempre presente questa consapevolezza!»

«Siamo protagonisti – ha aggiunto – di una battaglia già vinta. Anche se veniamo feriti, insultati, rifiutati, perseguitati… Nei secoli tutta la storia della Chiesa è stata contraddistinta da momenti difficili: crisi, eresie, divisioni, abbassamento della vita morale ecc… Niente di nuovo sotto il sole! Ma la Chiesa è forte della presenza dello Spirito Santo. La Parola di Dio è il segreto per superare ogni difficoltà. Non diamo mai per scontata la nostra Fede. Sarà dalla nostra vita buona che noi veniamo riconosciuti come cristiani… e come presbiteri».

Mons. D’Ercole si è soffermato quindi sulla perdita dell’identità del prete: «Si assiste ad una doppia vita che costituisce un vero atto di autosabotaggio. È una dissociazione costante che si respira nella cultura e nella sensibilità corrente. Oggi vediamo una sorta di “aggressione mediatica”. Gesù è percepito – nella comunicazione globale, fatta di emozionalismo  e di fredda razionalità – come “uno dei tanti”. Siamo spinti subito ad agire, e non prima di tutto a pensare». La relazione si è incentrata quindi sul prete e i giovani: «Bisogna accoglierli – ha detto mons. D’Ercole – ascoltarli e accompagnarli nella verità e con una profonda umanità, senza sconti (come faceva il Beato Giovanni Paolo II). Diamo fiducia alla loro voglia di essere protagonisti del futuro». Bisogna tenere presente, ha proseguito, «che la Chiesa non è sentita come “simpatica”, amica delle varie problematiche da affrontare. Noi preti abbiamo la responsabilità di suscitare il vero desiderio di Dio e dei valori della vita. Siamo fortemente chiamati ad educare curando la qualità delle relazioni e chiedere a tutti non perché soffri, perché vivi…ma per chi vivi, per chi soffri. Il dolore e la morte sono delle grosse risorse di vita, che vanno continuamente e tempestivamente evangelizzate».

Altra lezione di Papa Woityla, secondo mons. D’Ercole, è «quanto e come ti doni agli altri: è la grande disponibilità di ogni sacerdote e pastore. Per essere efficaci e non efficienti bisogna essere fuoco, faro e luce. Quindi essere preti santi significa comunicare l’amore di Dio, essere presenza di Cristo stesso». Più volte il relatore ha citato il passo di Matteo 7,15-20 dove si parla dei discepoli che vengono riconosciuti dai loro frutti.

Alla relazione di mons. D’Ercole è seguita la Messa, concelebrata da nove Vescovi Toscani e 150 preti provenienti da alcune diocesi toscane. Dopo un buon e celere pranzo consumato al Ristorante La Certosa davanti al complesso monastico, due folti gruppi di preti hanno visitato e gustato tutta la bellezza e la ricchezza degli ambienti della Certosa fiorentina, accompagnati da due guide messe a disposizione da Mons. Thimoty Verdon, direttore dell’Ufficio per l’arte sacra della Diocesi di Firenze.

La Giornata Regionale è sempre un momento qualificato per la formazione e comunione dei Presbitèri: peccato che quest’anno c’è stata una scarsa partecipazione del Clero e l’assenza di diverse Diocesi. Un ringraziamento particolare a padre Roberto, Superiore della Comunità Cistercense e alla Diocesi di Firenze che ha dato un supporto logistico alla buona riuscita dell’evento.

Don Carlo RonconiIncaricato regionale per il clero

Betori: «Non siamo di noi stessi o della gente, ma di Cristo»La coscienza di appartenere a Cristo è uno dei fondamenti essenziali della nostra spiritualità». Questa la riflessione che l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, presidente della Conferenza episcopale toscana, ha rivolto durante la Messa celebrata alla Certosa del Galluzzo nella Giornata regionale del clero. «Noi non siamo di noi stessi – ha proseguito – e neppure della nostra gente, espressione che potrebbe sembrare anche felice, ma che non ci mette al riparo da una concezione orizzontalistica del ministero. Noi siamo solo di Cristo e, solo in lui e a causa sua, siamo di tutti. Non nego ovviamente questa essenziale dedizione ai fratelli, ma mi preme sottolineare che essi diventano fratelli solo perché prima ho riconosciuto un Padre, quel Padre che Gesù mi ha rivelato. E non potrebbe essere altrimenti visto che non ci siamo costituiti preti da soli, né siamo stati designati a questo ufficio dalla comunità, ma la radice della nostra identità è la chiamata di Cristo».

Nella sua omelia, Betori ha ricordato anche le parole di Gesù: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Davanti a queste parole, ha commentato, «Occorre riconoscere che non poche delle distorsioni della nostra pastorale scaturiscono dal non rispettare questo primato di Cristo e dall’aver sostituito a lui il nostro protagonismo, le nostre idee e i nostri voleri».

Una «dipendenza che ci innalza, perché ci pone nelle mani stesse di Cristo», e che si colloca «nell’ottica dell’invio, della missione». L’accentuazione missionaria della identità della Chiesa e del sacerdozio cristiano, ha sottolineato Betori, non è solo una necessità pastorale dei nostri tempi, ma nasce da «un’esigenza di maggiore fedeltà alle origini».Sempre facendo riferimento alle parole di Gesù nel Giovedì Santo, Betori ha citato poi «la consapevolezza del dramma del tradimento che si sta consumando nei suoi riguardi ad opera proprio di uno dei discepoli che lo circondano e che condividono con lui quel pasto». Da questo anche noi, ha aggiunto, possiamo ricavare «la consapevolezza che il male alligna anche tra i suoi e nessuno se ne può dichiarare immune, ma esso costituisce una tragica possibilità per tutti. In questi tempi amari ne abbiamo avuto terribili esperienze, che devono indurci a penitenza per la purificazione, a operosa vigilanza, a impegno di rigenerazione affidandoci alla potenza dello Spirito. Anche noi possiamo tradire Gesù: preghiamo perché chi tristemente lo ha fatto riconosca il proprio peccato e si impegni nella conversione; siamo vicini umanamente e spiritualmente a chi ne ha sofferto come vittima, perché il cammino sia per loro più lievi e sorretto dalla comunità; sosteniamo con la vita spirituale e fraterna la nostra fedeltà». Altrettanto importante però, ha proseguito Betori, è «la rassicurazione che Gesù ci offre quando afferma la sua identità divina, con quell’espressione “Io Sono” che racchiude il nome stesso del Dio d’Israele e dei cristiani e che dice sovranità sulla storia e vicinanza all’umanità sofferente. Anche nei momenti più dolorosi possiamo far conto su un Dio presente, un amore che non ci abbandona, una vita che rinasce nuova per l’eternità. Di questa speranza sentiamoci testimoni nel nostro ministero, per noi stessi e per i fratelli che la Chiesa ci ha affidato».