Vita Chiesa
La visita del Papa: Un invito a pensare in grande
L’abbraccio di tutta la Toscana. Il Prato, il punto più alto della città, un vasto ripiano erboso tra il colle di San Donato e quello di San Pietro, tra la Fortezza medicea e la Cattedrale, che prende il nome da entrambi i santi e finisce per unire l’Arezzo civile con quella religiosa. Qui il Papa ha celebrato la Messa e abbracciato la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro sottolineando come proprio questa comunità si sia «distinta molte volte nel corso della storia per il senso di libertà e la capacità di dialogo tra componenti diverse».
A questo luogo, in un pellegrinaggio continuo fin dalle prime ore del mattino, sono saliti domenica scorsa i fedeli giunti ad Arezzo in treno e in pullman da ogni parrocchia della diocesi. Ma all’interno dell’ovale circondato dai pini, in una sorta di naturale colonnato berniniano, c’era tutta la Toscana, ecclesiale e politica, con tutti i vescovi intorno all’altare e i propri amministratori in prima fila: il presidente della Regione, assessori, consiglieri, parlamentari, sindaci…. Quella Toscana a cui Benedetto XVI ha riconosciuto «tra i suoi valori distintivi, la solidarietà, l’attenzione ai più deboli, il rispetto della dignità di ciascuno» e «l’accoglienza, che anche in tempi recenti ha saputo dare a quanti sono venuti in cerca di libertà e di lavoro». Quella Toscana patria del Rinascimento che deve però interrogarsi su quale «visione dell’uomo» sia «in grado di proporre alle nuove generazioni».
«Testimoniare l’amore di Dio nell’attenzione agli ultimi si coniuga ha spiegato il Papa anche con la difesa della vita, dal suo primo sorgere al suo termine naturale. Nella vostra Regione l’assicurare a tutti dignità, salute e diritti fondamentali viene giustamente sentito come un bene irrinunciabile. La difesa della famiglia, attraverso leggi giuste e capaci di tutelare anche i più deboli, costituisca sempre un punto importante per mantenere un tessuto sociale solido e offrire prospettive di speranza per il futuro». Dal grande palco con la copertura a osso di seppia e le agili colonne che rimandano al loggiato del santuario aretino di Santa Maria delle Grazie, sotto al Crocifisso del Pionta, il «Duomo vecchio», il Papa, guidando il «Regina Caeli», ha invitato a reagire «alla tentazione dello scoraggiamento», a riprendere «con decisione la via del rinnovamento spirituale ed etico, che solo può condurre ad un autentico miglioramento della vita sociale e civile».
Con pochi gesti simbolici il Santo Padre è stato di esempio anche nella preghiera, inginocchiandosi davanti all’urna di San Donato, alle spoglie di Gregorio X, alla Madonna del Conforto (e solo gli aretini sanno quanto conti quel gesto), al Volto Santo (e qui il brivido lo hanno provato i biturgensi), mentre non ha potuto farlo nella Cappella delle Stimmate, alla Verna, a causa del maltempo che al mattino aveva risparmiato Il Prato fino alla fine della Messa e al pomeriggio il momento preciso dell’incontro con la popolazione di Sansepolcro, in Piazza Torre di Berta, quando i raggi di sole hanno illuminato il palco del Papa dopo ore di pioggia battente.
Fino a notte fonda è rimasto in piedi per gli ultimi ritocchi ai preparativi previsti per l’arrivo del Papa in Diocesi. L’ultima fatica è stata nel palco del Prato, dove dopo poche ore si sarebbe celebrata la Messa, per verificare che ogni cosa fosse al posto giusto. La notte prima dell’arrivo del Papa è stata un po’ come quella di tutti gli aretini, con un pensiero rivolto alla giornata appena conclusa e un altro a quella che sarebbe iniziata di lì a poco, con le sue incognite e le sue aspettative.
L’arcivescovo Riccardo Fontana ci racconta la visita pastorale di Benedetto XVI, iniziata allo stadio «Città di Arezzo» quando l’elicottero è atterrato e le campane della città hanno iniziato a suonare a festa. Giusto il tempo dei saluti alle autorità presenti e poi la partenza in papamobile verso il centro della città pavesato a festa. «Quando siamo passati davanti alla Casa di Petrarca, il Papa si è emozionato», dice l’Arcivescovo. Molto bello è stato il suo ingresso al Prato quando ancora dentro la papamobile gli hanno dato in mano due neonati per una benedizione. Poi il saluto con lo scambio dei doni: «Quando mi sono inginocchiato per mettere ai piedi di Pietro il frutto della colletta da dare ai poveri spiega l’Arcivescovo il Papa è stato felicissimo, me lo ha ricordato almeno quattro volte nel corso della giornata». La Messa è stata «una festa della fede» e «nell’omelia spiega ancora l’Arcivescovo era chiaro il riferimento ad Amintore Fanfani, una figura di questo territorio che ha fatto tantissimo».
Entrando in Cattedrale, dopo la Messa, Benedetto XVI ha apprezzato le nuove sculture di Giuliano Vangi «ammirandone anche il significato teologico» ci racconta l’Arcivescovo. Poi ha raggiunto l’Episcopio passando per il corridoio di San Donato dove è stata allestita per l’occasione una mostra sull’oreficeria aretina dai tempi degli Etruschi fino ai giorni nostri. «Sapete fare cose stupende ha detto il Papa peccato che gente che sa lavorare così bene non riesca attualmente a trovare lavoro». La presenza del Santo Padre nell’Episcopio è stata l’occasione anche per illustrargli il progetto del nuovo Museo Diocesano di Arte sacra che sarà ospitato proprio nelle sale dove Benedetto XVI ha pranzato con i Vescovi della Toscana. «Il Papa non beve vino racconta l’Arcivescovo ma quando gli è stato servito un vinsanto di quello buono ha detto: Questo lo assaggio anch’io, facendo rallegrare il gran numero di persone che hanno contribuito gratuitamente alla riuscita della colazione». Dopo pranzo, «da buon tedesco», ha voluto fare quattro passi nell’orto dell’Episcopio.
Al momento di lasciare la città di Arezzo il Santo Padre è stato salutato da cinquemila bambini delle scuole cattoliche radunati allo stadio. Al decollo l’elicottero si è diretto verso il Casentino. Ha sorvolato Capolona e Subbiano, poi, improvvisamente, ha virato verso la Valdichiana, ha raggiunto l’isola Polvese sul Trasimeno, Perugia e la Valtiberina, per cercare di aggirare una grossa perturbazione e arrivare alla Verna dall’altra parte. Dopo vari tentativi ci si è resi conto che non era possibile atterrare e l’elicottero si è diretto a Sansepolcro ed è atterrato. «Pioveva da matti e la temperatura si era abbassata tantissimo spiega l’Arcivescovo . Arrivati al Duomo, in sacrestia, il Papa si è fermato un momento dove due suore gli avevano preparato un thè bollente. Si è commosso. Arrivati in piazza ha smesso di piovere. L’idea di poter comunicare direttamente gli ha dato grinta ed è stato molto spontaneo e molto forte. Il punto più alto è stato l’appello ai giovani nell’osare ad entrare in politica: un segnale molto bello».
Prima di ripartire per la Città del Vaticano Benedetto XVI ha chiesto al cardinale Giuseppe Betori e all’arcivescovo Riccardo Fontana di recarsi a La Verna per dire ai frati e alle monache il suo dispiacere per non averli potuti incontrare e per non aver potuto pregare con loro nel monte dove San Francesco ricevette le stimmate. «È un Papa pieno di delicatezze e di attenzione per le persone racconta Fontana ci ha chiesto di andarlo a rappresentare, di fargli da ambasciatori, e di dire che farà di tutto per tornare. Ci dispiace molto che questa tappa sia saltata, sarebbe stato il momento religioso più forte della Visita. Oltretutto il Papa ha una grandissima attenzione per San Francesco». I due presuli si sono diretti verso il Sacro Monte in macchina sfidando «una nebbia che si tagliava con il coltello». Hanno raggiunto i religiosi mentre stavano cenando. «I frati sono stati amabili dice l’arcivescovo Riccardo Fontana e sperano vivamente che Benedetto XVI possa fare visita alle loro comunità prossimamente».
Ci hanno sperato fino all’ultimo i frati della Verna e gli abitanti di Chiusi. Anche quando è circolata la voce di una possibile visita del Santo Padre al Santuario, dopo quella svolta a Sansepolcro. Invece tutto è saltato, forse rimandato a un’altra occasione. L’annuncio ufficiale è arrivato intorno alle 19: «Il Papa Benedetto XVI non ci raggiungerà oggi ma spera di poterci incontrare in un altro momento più avanti», afferma il ministro generale dei frati minori. La nebbia, il forte vento e la pioggia non hanno permesso all’elicottero del Pontefice di atterrare nel luogo simbolo della spiritualità francescana. Il programma ufficiale prevedeva il suo arrivo all’eliporto della Beccia alle 17.15, quindi il transito nella città di Chiusi della Verna, vestita a festa per la speciale occasione con le bandiere riportanti i colori giallo e bianco del Vaticano appese praticamente in tutte le case del Paese, e gli abitanti scesi lungo le strade pronti a portare il loro saluto al Papa.
Era una visita a cui teneva molto il Santo Padre, lui che si era già recato al Sacro Monte da cardinale nel 1988 e aveva scritto una tesi di dottorato nel 1955 su San Bonaventura, salvato dalla morte proprio per intercessione di San Francesco d’Assisi. E sempre al Santo di Bagnoregio, aveva dedicato alcuni passi del suo discorso che avrebbe dovuto tenere ai Frati Minori e alle Monache Clarisse accorse al Santuario per l’evento storico: «Questo grande Dottore della Chiesa ci comunica la sua stessa esperienza, invitandoci alla preghiera. Anzitutto la mente va rivolta alla Passione del Signore, perché è il sacrificio della Croce che cancella il nostro peccato, una mancanza che può essere colmata solo dall’amore di Dio», avrebbe detto il Pontefice.
Alla Verna tutto era pronto per accogliere Benedetto XVI. C’erano anche il Sindaco di Firenze Matteo Renzi, per il legame di protettorato secolare che unisce il Comune del capoluogo toscano al Sacro Monte, il cardinale Claudio Hummes, Prefetto emerito della Congregazione per il clero, l’arcivescovo emerito di Firenze Silvano Piovanelli. Tutti sono rimasti uniti in preghiera nella chiesa del Santuario, nella speranza che in cielo si potesse aprire uno spiraglio che portasse via la fitta coltre di nebbia formatasi nel pomeriggio, con le notizie che intanto si rincorrevano fra chi parlava di visita saltata già alle 17, e chi invece attendeva una comunicazione ufficiale, perché il Papa era fortemente intenzionato a salire in cima al Sacro Monte.
Erano pronti anche i doni che sarebbero stati consegnati al Santo Padre. Il Ministro Generale dei Frati Minori Fr. José Rodrìguez Carballo, che avrebbe dovuto anche portare il primo saluto al Pontefice, dopo gli onori di casa del frate guardiano Fr. Massimo Grassi, gli avrebbe consegnato una croce di madreperla proveniente dalla Terra Santa; i frati della Verna gli avrebbero invece donato un bassorilievo con la rappresentazione del momento in cui il serafino appare a San Francesco che riceve le stimmate, con incastonata una reliquia dell’abito del «poverello di Assisi»; anche le Suore Clarisse e le religiose di Chiusi della Verna invitate alla visita privata del Papa, avevano pronti altri doni da consegnare a Benedetto XVI. Tutto insomma era predisposto per la speciale occasione, ma le avverse condizioni metereologiche non hanno permesso lo svolgersi dell’evento secondo programma. La speranza è che il Pontefice possa visitare il Santuario in un’altra occasione, più avanti, magari quando il tempo lo consentirà e sarà più clemente.
Sono le 18 di una domenica di maggio insolitamente fredda e uggiosa. La figura bianca, quasi angelica, di Papa Benedetto XVI si appresta ad entrare nell’antica Concattedrale di Sansepolcro e nei suoi mille anni di storia. Il tempo si ferma.
L’antico Borgo fondato dieci secoli fa esatti, attorno alle reliquie giunte dalla Terra Santa, grazie ai pellegrini Arcano ed Egidio, sta per vivere uno dei suoi momenti più intesi. Il Pontefice percorre la navata centrale del Duomo biturgense, avvolto dalle note del tedesco Bach, suonate dal maestro Roberto Tofi. Lo sguardo del Papa si posa sugli archi e le colonne, sull’altare maggiore e il suo polittico della Resurrezione, di Niccolò di Segna e poi si sofferma per alcuni istanti sull’Ascensione del Perugino. Ancora qualche metro e Joseph Ratzinger è in ginocchio di fronte al Volto Santo, nella cappella di sinistra della Concattedrale. Un’immagine che resterà indelebile nella memoria di un’intera comunità.
La tappa a Sansepolcro della Visita pastorale di Benedetto XV in terra aretina è stata, forse, quella più emozionante. Di sicuro è stata quella dal sapore più particolare. E non solo perché da 500 anni qui non si vedeva un Pontefice, ma soprattutto per il messaggio che il Papa ha voluto lasciare all’antico Borgo. «Mille anni fa ha detto il Pontefice , i santi pellegrini Arcano ed Egidio, di fronte alle grandi trasformazioni del tempo, si misero alla ricerca della verità e del senso della vita, dirigendosi verso la Terra Santa. Tornando, portarono con sé non solo le pietre raccolte sul monte Sion, ma la speciale idea che avevano elaborato nella Terra di Gesù: costruire nell’Alta Valle del Tevere la civitas hominis a immagine di Gerusalemme che, nel suo stesso nome, evoca giustizia e pace. [ ] L’ideale dei vostri fondatori è giunto fino ai nostri giorni e costituisce non soltanto il cardine dell’identità di Sansepolcro e della Chiesa diocesana, ma anche una sfida a conservare e promuovere il pensiero cristiano, che è all’origine di questa Città. Il Millenario è l’occasione per compiere una riflessione, che è, ad un tempo, cammino interiore sulle vie della fede e impegno a riscoprire le radici cristiane, affinché i valori evangelici continuino a fecondare le coscienze e la storia quotidiana di voi tutti».
Poi il riferimento a Giuseppe Toniolo, l’economista morto a Pisa nel 1918, appena beatificato da Benedetto XVI. Questa «splendida figura», ha detto il Pontefice, ci ricorda come «il bene comune conta di più del bene del singolo, e tocca anche ai cristiani contribuire alla nascita di una nuova etica pubblica. Alla sfiducia verso l’impegno nel politico e nel sociale, i cristiani, specialmente i giovani, sono chiamati a contrapporre l’impegno e l’amore per la responsabilità, animati dalla carità evangelica, che chiede di non rinchiudersi in se stessi, ma di farsi carico degli altri». Infine, l’invito ai giovani «a saper pensare in grande: abbiate il coraggio di osare! Siate pronti a dare nuovo sapore all’intera società civile, con il sale dell’onestà e dell’altruismo disinteressato. È necessario ritrovare solide motivazioni per servire il bene dei cittadini».
Maurizio Schoepflin