«Il mondo ha bisogno di incontri contagiosi con un vangelo vissuto e di cui si sa dare ragione». Lo ha detto monsignor Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e presidente della Conferenza dei vescovi della Toscana, presiedendo nel Duomo di Pisa la celebrazione dell’Eucaristia, in occasione della festività di San Ranieri, davanti all’urna del Santo che è patrono della Diocesi. Con lui hanno concelebrato 103 sacerdoti e 14 vescovi: l’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto e l’emerito Alessandro Plotti, il nunzio apostolico in Brasile (ed originario della diocesi di Pisa), Lorenzo Baldisseri, l’ausiliare di Firenze, Claudio Maniago, il vescovo di Massa Marittima e Piombino, Carlo Ciattini, quello di San Miniato, Fausto Tardelli, di Pistoia, Mansueto Bianchi, di Livorn,o Simone Giusti, di Volterra, Alberto Silvani, di Massa Carrara e Pontremoli, Giovanni Santucci, l’arcivescovo di Arezzo, Cortona e Sansepolcro, Riccardo Fontana, di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino, Antonio Buoncristiani, l’abate di Monte Oliveto Maggiore, il benedettino olivetano, Diego Gualtiero Rosa, infine l’emerito di Massa Carrara e Pontremoli, Eugenio Binini.Molte le autorità civili, dal sindaco di Pisa Marco Filippeschi al presidente della provincia Andrea Pieroni e almeno mille e cinquecento i fedeli presenti alla solenne celebrazione al termine dell’anno giubilare di san ranieri, animata dal coro e dall’orchestra della Cappella musicale del Duomo, quaranta coristi e strumentisti diretti dal maestro Riccardo Donati ed accompagnati all’organo da Claudiano Pallottini.All’inizio della celebrazione l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto ha ricordato i sacerdoti che quest’anno festeggiano i settanta, i sessanta, i cinquanta e 25 anni dall’ordinazione presbiterale. Un pensiero particolare è andato all’arcivescovo emerito Alessandro Plotti, nominato arcivescovo metropolita di Pisa 25 anni fa.«Seguendo il percorso dettato dalle letture bibliche dell’odierna solennità – ha commentato monsignor Giuseppe Betori nella sua omelia – il nostro sguardo è invitato anzitutto a posarsi sull’attenzione alla condizione dei poveri». «Carità e giustizia – ha proseguito – appartengono alle forme più immediatamente evidenti della testimonianza di santità che ci ha lasciato San Ranieri» Una carità che non si ferma allo stadio «dell’offerta di beni ai poveri, ma, nella sua ricerca di forma evangelica alla propria vita, si configura come una condivisione di vita con i poveri, nella condizione di penitente, che si identifica con lo spirito delle Beatitudini, scorgendo nella povertà, assunta come stato di vita spirituale, l’accesso alla vera libertà e quindi alla vera beatitudine, alla perfetta comunione con Dio». «Tocchiamo qui – ha osservato monsignor Betori – un punto vitale dell’esperienza di fede, che non può dirsi tale fino a quando va in cerca di sicurezze umane per dare sostanza e speranza all’esistenza, evitando di confrontarsi con l’esigenza di Dio, che si propone a noi come l’unica ricchezza della nostra vita. Emerge in tutta la sua attualità la pagina del Vangelo, dove nella prospettiva della realizzazione di sé – Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? – , il giovane che incontra Gesù è posto di fronte alla scelta radicale, tra le realtà di questo mondo, pur vissute secondo una onestà di fondo, quella che è assicurata dalla osservanza dei comandamenti – oggi diremmo dalla conformazione ai principi di una legge naturale – e l’invito a seguire Gesù: Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». «Con evidenza – ha precisato il presidente dei vescovi toscani – l’accento cade non tanto sulla parte negativa – vendere e dare – ma su quella positiva: andare a Gesù che chiama, seguirlo, rimanere in lui». «È la scelta di Dio come tutto, che è il segreto della santità, ma anche il senso ultimo della vita cristiana. È una scelta che può assumere forme diverse a seconda delle situazioni e vicende personali, ma che ha un carattere irriducibile di orientamento a Dio come l’assoluto della vita». La Chiesa oggi – ha proseguito l’arcivescovo di Firenze – si trova a misurarsi «con un passaggio di trasformazione culturale epocale con diversi caratteri in comune con quello in cui si imbatté nei secoli XII e XIII, e che essa affrontò grazie alle risorse di santità di uomini come San Ranieri e, circa mezzo secolo dopo, San Francesco d’Assisi. Furono loro a mostrare come la forma di vita evangelica poteva essere incarnata nella società che stava rompendo le stratificazioni del mondo feudale per aprirsi a quella che oggi chiameremmo una prima globalizzazione, in forza della espansione di mercati, eventi in cui Pisa ebbe un ruolo primario. La sfida, vinta da questi santi, fu quella di proporre una vita cristiana senza per questo richiedere separazioni o un rifiuto del mondo». «Ma ciò che deve stare a cuore – ha incalzato l’arcivescovo di Firenze – prima ancora di chiederci come configurare oggi la nostra testimonianza nel mondo, è la riproposizione della questione di Dio come interrogativo decisivo dell’esistenza umana. Non a caso risorgono con veemenza le voci ateistiche nella comunicazione culturale. Si tratta in genere della riedizione di vecchie polemiche, a cui la fede ha da tempo dato esaurienti risposte. Solo la sciatta ignoranza della comunicazione può prenderle sul serio, ignorando come invece la vera scienza è stata sempre accompagnata dal riconoscimento del mistero. Più problematico invece è il clima relativistico, che sfalda le coscienze e i rapporti sociali e che ha bisogno di negare la possibilità dell’esistenza di una verità assoluta e la sua attingibilità da parte dell’uomo. Lo ricorda con grande insistenza Benedetto XVI nel suo insegnamento, e gliene siamo particolarmente grati».«Da ultimo – ha concluso monsignor Betori – mi piace attirare la nostra attenzione sul tema della testimonianza. Essa sta all’origine della conversione di Ranieri e diventa poi la caratteristica della sua vita in questa città». «Questa dimensione testimoniale della fede è anch’essa oggi di grande rilievo. Non c’è bisogno di chissà quali programmi o strategie per convertire il mondo, ma solo – ma questo avverbio è così pesante! – di cristiani che fanno risplendere nella loro vita la bellezza del vangelo e ne sanno parlare con gioia mediante opere e parole. Il mondo ha bisogno di incontri contagiosi con un vangelo vissuto e di cui si sa dare ragione».