E’ necessario far comprendere che è in atto una decisiva scommessa che vede protagoniste due culture, quella della vita e quella della morte, culture che entrambe rivendicano per sé la vita. La nota espressione cultura della vita e cultura della morte non è una forma letteraria usata dal Magistero per la sua forza suggestiva, ma descrive lucidamente la realtà che viviamo: si tratta del futuro dell’uomo: lo ha detto questo pomeriggio a Roma, in occasione della sua visita alla Pontificia Università Salesiana, il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. Nel suo discorso dal titolo Educare alla vita buona del Vangelo: il contributo delle Università, il cardinale ha approfondito il concetto di emergenza educativa, indicata da Papa Benedetto XVI come uno dei principali impegni della Chiesa in quest’epoca. Riferendosi al confronto tra cultura della vita e cultura della morte, ha aggiunto che dimensionare o silenziare, non prendere in mano con decisione e grande impegno la questione, sarebbe mancare all’appuntamento a cui il Signore ci chiama. Se la cultura è la forma della vita, allora tutto ciò che la vita presenta di vero, di bene e di bello, ma anche di problematico e di oscuro, deve prendere la forma della riflessione culturale per diventare giudizio critico e propositivo a vantaggio di tutti.L’educazione è stata in ogni tempo un compito delicato e difficile: oggi però assume caratteristiche più ardue tanto che il Santo Padre parla di una grande emergenza educativa’: così il card. Bagnasco ha introdotto la riflessione sulla sfida educativa davanti a docenti e studenti della Pontificia Università Salesiana di Roma. Tra le diverse ragioni, quella di fondo la riscontriamo nelle parole del Papa quando avverte che anima dell’educazione , come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile’. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di diventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini senza speranza e senza Dio, ha poi affermato. La mancanza di speranza, secondo il cardinale è come una gramigna che avvelena la vita e la oscura nel suo futuro. Dal punto di vista del credente, – ha proseguito – è una fede languida, snervata, privata della sua linfa originaria e vitale, cioè il cuore a cuore’ con Cristo, il fidarsi di Lui senza riserve, l’appartenenza cordiale alla Chiesa. Senza questa luce, o con una luce fioca perché non alimentata e rinvigorita ogni giorno, tutto pian piano si spegne, e le suggestioni del mondo – pensare come se Dio non ci fosse – insensibilmente invadono e sommergono. Proseguendo nella riflessione sulla crisi di fiducia nella vita, il cardinale si è soffermato sulla condizione giovanile. In questa terra, ferita da uno spaesamento che genera paura e angoscia, ha buon gioco quella fragilità di fondo che sembra segnare il tessuto interiore del mondo giovanile ha affermato – una fragilità che, non superata da punti fermi e veri di tipo ideale ed etico, viene ad essere luogo di scorribande emotive e sempre più veloci per la legge della sensibilità. Su questa esposizione senza difese, si concentra il fuoco incrociato degli interessi più diversi, economici-commerciali, ideologici ha poi notato -. Il risultato interiore è una emotività che, rispetto a tempi passati, è molto più sollecitata e incontrollata, a cui corrisponde uno spazio di riflessione molto più modesto, fino a cristallizzare la non-distinzione tra intelligenza e impressionabilità. Come conseguenza, ha poi detto il cardinale, è comprensibile allora che l’estuario di questo fiume in piena senza argini protettivi, possa sfociare più o meno nello stordimento, nel disinteresse generico, nella eccedenza, nel cinismo comportamentale. In sintesi, in una tristezza facilmente risentita. La ricerca della verità chiede verità. Ma oggi questa è oscurata: da cosa?: così il cardinale ha posto la questione, riferita in particolare all’educazione dei giovani. Intendo indicare ha detto – l’oscuramento che proviene dalla banalità e dalla volgarità imperante. La banalità, il vuoto dell’anima e della vita, è figlia della cultura dell’utile. La volgarità e la violenza ne sono le figlie. Estendendo la riflessione, ha poi detto che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica e, richiamando le parole del Papa nella Caritas in veritate, ha aggiunto che quando una società si avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. Secondo il cardinale, quindi, la questione dei cosiddetti valori non negoziabili, con tutto ciò che ne consegue, demarca questa linea di confine, questo crinale oltre il quale l’uomo perde se stesso e la società diventa disumana. Non essere pienamente consapevoli di questa scommessa e non starci con le ragioni della ragione confermata e illuminata dalla fede, significherebbe un grave peccato di omissione verso Dio e verso l’uomo.Sir