Vita Chiesa

BENEDETTO XVI A CIPRO, MESSA A NICOSIA: CHIAMATI A PORTARE PACE E RICONCILIAZIONE

“Siamo chiamati a superare le nostre differenze, a portare pace e riconciliazione dove ci sono conflitti, ad offrire al mondo un messaggio di speranza. Siamo chiamati ad estendere la nostra attenzione ai bisognosi, dividendo generosamente i nostri beni terreni con coloro che sono meno fortunati di noi. E siamo chiamati a proclamare incessantemente la morte e risurrezione del Signore, finché egli venga”. Lo ha detto Benedetto XVI stamani mattina presidendo nel Palazzo dello Sport Eleftheria di Nicosia, che può ospitare circa 6000 persone, la Messa in occasione della pubblicazione dell'”Instrumentum laboris” dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (testo integrale). Alla Celebrazione Eucaristica hanno partecipato i Patriarchi e i Vescovi cattolici del Medio Oriente, con rappresentanze della rispettive comunità, ed un numeroso gruppo di fedeli ciprioti. All’inizio l’Arcivescovo maronita di Cipro, monsignor Youssef Soueif ha rivolto parole di saluto al Santo Padre.

Nell’omelia Benedetto XVI si è soffermato sulla solennità del Corpus Domini, che si celebra oggi. “Il nome dato a questa festa in Occidente – ha spiegato -  è usato nella tradizione della Chiesa per indicare tre distinte realtà: il corpo fisico di Gesù, nato dalla Vergine Maria, il suo corpo eucaristico, il pane del cielo che ci nutre in questo grande sacramento, e il suo corpo ecclesiale, la Chiesa. Riflettendo su queste diversi aspetti del ‘Corpus Christi’, giungiamo ad una più profonda comprensione del mistero della comunione che lega tutti coloro che appartengono alla Chiesa”.

“Ciascuno di noi che appartiene alla Chiesa – ha proseguito – ha bisogno di uscire dal mondo chiuso della propria individualità ed accettare la compagnia di coloro che condividono il pane con Lui. (…). È per questo che tutti i giorni noi preghiamo ‘nostro’ Padre per il ‘nostro’ pane quotidiano. Abbattere le barriere tra noi e i nostri vicini è prima premessa per entrare nella vita divina alla quale siamo chiamati. Abbiamo bisogno di essere liberati da tutto quello che ci blocca e ci isola: timore e sfiducia gli uni verso gli altri, avidità ed egoismo, mancanza di volontà di accettare il rischio della vulnerabilità alla quale ci esponiamo quando ci apriamo all’amore”.

“Nella prima comunità cristiana” – ha ricordato il Papa – “nutrita alla tavola del Signore, noi vediamo gli effetti dell’azione unificatrice dello Spirito Santo. Condividevano i loro beni in comune, distaccandosi da ogni bene materiale per amore dei fratelli. (…) Ma il loro amore non era affatto limitato verso i loro amici credenti. Mai hanno considerato se stessi come esclusivi, privilegiati beneficiari del favore divino, ma invece come messaggeri inviati a spargere la buona  notizia della salvezza in Cristo fino ai confini della terra. E fu così che il messaggio affidato agli Apostoli dal Signore Risorto, venne sparso in tutto il Medio Oriente e da qui al mondo intero”.

Al termine della Messa, l’Arcivescovo Nikola Eterovic, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, ha ringraziato il Papa per la convocazione della prossima Assemblea Speciale per il Medio Oriente, che si terrà in Vaticano nell’ottobre prossimo ed ha invitato il Pontefice a consegnare una copia dell”Instrumentum laboris” ai membri del Consiglio Speciale per il Sinodo.

Ecco una sintesi del documento (testo integrale). Nella prefazione, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Arcivescovo Nikola Eterovic sottolinea che “la situazione attuale nel Medio Oriente è per non pochi versi simile a quella vissuta dalla primitiva comunità cristiana in Terra Santa, in mezzo a difficoltà e persecuzioni”. Nell’Introduzione si ricordano i due obiettivi principali del Sinodo: innanzitutto, quello di “confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti”; in secondo luogo quello di “ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese ‘sui iuris’, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente”. Il Primo capitolo tratta della Chiesa cattolica in Medio Oriente ricordando che tutte le Chiese del mondo “risalgono alla Chiesa di Gerusalemme”. Si ricorda che le Chiese del Medio Oriente sono di origine apostolica e “che sarebbe una perdita per la Chiesa universale se il Cristianesimo dovesse affievolirsi o scomparire proprio là dove è nato”. C’è dunque la “grave responsabilità” di “mantenere la fede cristiana in queste terre sante”. Si afferma quindi che i cristiani, nonostante il loro “numero esiguo”, “appartengono a pieno titolo al tessuto sociale e all’identità stessa” di questi Paesi. La loro scomparsa rappresenterebbe una perdita per il pluralismo del Medio Oriente. I cattolici sono chiamati a promuovere il concetto di “laicità positiva” dello Stato per “alleviare il carattere teocratico del governo” e permettere “più uguaglianza tra i cittadini di religioni differenti favorendo così la promozione di una democrazia sana, positivamente laica, che riconosca pienamente il ruolo della religione, anche nella vita pubblica, nel pieno rispetto della distinzione tra gli ordini religioso e temporale”. Il documento sottolinea quindi che i conflitti regionali rendono ancora più fragile la situazione dei cristiani. “L’occupazione israeliana dei territori Palestinesi rende difficile la vita quotidiana per la libertà di movimento, l’economia e la vita sociale e religiosa (accesso ai Luoghi Santi, condizionato da permessi militari accordati agli uni e rifiutati agli altri, per ragioni di sicurezza). I cristiani sono tra le principali vittime della guerra in Iraq. “In Libano, i cristiani sono divisi sul piano politico e confessionale”. “In Egitto, la crescita dell’Islam politico, da una parte, e il disimpegno, in parte forzato, dei cristiani nei confronti della società civile, dall’altra, rendono la loro vita esposta a serie difficoltà”. “In altri Paesi, l’autoritarismo, cioè la dittatura, spinge la popolazione, compresi i cristiani, a sopportare tutto in silenzio per salvare l’essenziale. In Turchia, il concetto attuale di laicità pone ancora problemi alla piena libertà religiosa del Paese”. I cristiani sono esortati a non tralasciare il loro impegno nella società nonostante le tentazioni allo scoraggiamento”. “In Oriente – si rileva – libertà di religione vuol dire solitamente libertà di culto”, non dunque “libertà di coscienza, cioè della libertà di credere o non credere, di praticare una religione da soli o in pubblico senza alcun impedimento, e dunque della libertà di cambiare religione. In Oriente, la religione è, in generale, una scelta sociale e perfino nazionale, non individuale. Cambiare religione è ritenuto un tradimento verso la società, la cultura e la Nazione costruita principalmente su una tradizione religiosa”. Per questo “la conversione alla fede cristiana è vista come il frutto di un proselitismo interessato, non di una convinzione religiosa autentica. Per il musulmano, essa è spesso vietata dalle leggi dello Stato”. L’estremismo islamico, nel frattempo, continua a crescere in tutta l’area costituendo “una minaccia per tutti, cristiani, ebrei e musulmani”. In questo contesto di conflittualità, difficoltà economiche e limitazioni politiche e religiose, i cristiani continuano ad emigrare: “nel gioco delle politiche internazionali – si sottolinea – si ignora spesso l’esistenza dei cristiani, i quali ne sono le prime vittime; questa è una delle cause principali dell’emigrazione”.Il Secondo capitolo è dedicato alla comunione ecclesiale. “Questa comunione in seno alla Chiesa cattolica – leggiamo nel testo – si manifesta mediante due segni principali: il battesimo e l’Eucaristia nella comunione con il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, corifeo degli apostoli, ‘principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione'”. “Per promuovere l’unità nella diversità, occorre superare il confessionalismo in ciò che può avere di limitato o esagerato, incoraggiare lo spirito di cooperazione tra le varie comunità, coordinare l’attività pastorale e stimolare l’emulazione spirituale e non la rivalità”. “La comunione tra i vari membri di una stessa Chiesa o Patriarcato – si legge nell”Instrumentum laboris’ – avviene sul modello della comunione con la Chiesa universale e con il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma. A livello della Chiesa Patriarcale, la comunione si esprime mediante il sinodo che riunisce i Vescovi di tutta una comunità attorno al Patriarca, Padre e capo della sua Chiesa. I cristiani sono invitati a sentirsi “membri della Chiesa Cattolica in Medio Oriente, e non soltanto membri di una Chiesa particolare”.Il Terzo capitolo affronta il tema della testimonianza cristiana. Si ribadisce innanzitutto “l’importanza della catechesi per conoscere e trasmettere la fede”. Si ribadisce l’urgenza dell’ecumenismo, superando pregiudizi e diffidenze attraverso il dialogo e la collaborazione. Si condanna “decisamente il proselitismo che usa mezzi non conformi al Vangelo”. Si passano in rassegna quindi i rapporti con l’ebraismo che trovano “nel Concilio Vaticano II un punto di riferimento fondamentale”. Il dialogo con gli ebrei è definito “essenziale, benché non facile” risentendo del conflitto israelo-palestinese. La Chiesa auspica che “ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti”. Si ribadisce la ferma condanna dell’antisemitismo, sottolineando che “gli attuali atteggiamenti negativi tra popoli arabi e popolo ebreo sembrano piuttosto di carattere politico” e dunque estranei ad ogni discorso ecclesiale. I cristiani sono chiamati “a portare uno spirito di riconciliazione basata sulla giustizia e l’equità per le due parti. D’altra parte, le Chiese nel Medio Oriente invitano a mantenere la distinzione tra la realtà religiosa e quella politica”. Anche le relazioni della Chiesa Cattolica con i musulmani hanno fondamento nel Concilio Vaticano II. “Le relazioni tra cristiani e musulmani sono, più o meno spesso, difficili – si legge nel documento – soprattutto per il fatto che i musulmani non fanno distinzione tra religione e politica, il che mette i cristiani nella situazione delicata di non-cittadini, mentre essi sono cittadini di questi Paesi già da ben prima dell’arrivo dell’Islam. La chiave del successo della coesistenza tra cristiani e musulmani dipende dal riconoscere la libertà religiosa e i diritti dell’uomo”. “I cristiani sono chiamati … a non isolarsi in ghetti, in atteggiamenti difensivi e di ripiegamento su di sé tipici delle minoranze. Nella situazione conflittuale della regione i cristiani sono esortati a promuovere “la pedagogia della pace”: si tratta di una via “realistica, anche se rischia di essere respinta dai più; essa ha anche più possibilità di essere accolta, visto che la violenza tanto dei forti quanto dei deboli ha condotto, nella regione del Medio Oriente, unicamente a fallimenti e a uno stallo generale”. Si tratta di una situazione “sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale”. Il contributo dei cristiani, “che esige molto coraggio, è indispensabile” anche se “troppo spesso” i Paesi mediorientali “identificano l’Occidente con il Cristianesimo” recando grande danno alle Chiese cristiane. Il documento analizza anche il forte impatto della modernità che al musulmano credente “si presenta con un volto ateo e immorale. Egli la vive come un’invasione culturale che lo minaccia, turbando il suo sistema di valori”. “La modernità, del resto, è anche lotta per la giustizia e l’uguaglianza, difesa dei diritti”. “Il cristiano ha un contributo speciale da apportare nell’ambito della giustizia e della pace”; ha il dovere di “denunciare con coraggio la violenza da qualunque parte essa provenga, e suggerire una soluzione, che non può passare che per il dialogo”, la riconciliazione e il perdono. Tuttavia i cristiani devono “esigere con mezzi pacifici” che anche i loro diritti “siano riconosciuti dalle autorità civili”. Il documento affronta quindi il tema dell’evangelizzazione in una società musulmana che può avvenire solo attraverso la testimonianza: ma “si chiede che essa sia garantita anche da opportuni interventi esterni”. Ad ogni modo l’attività caritativa delle comunità cattoliche “verso i più poveri e gli esclusi, senza discriminazione, rappresenta il modo più evidente della diffusione dell’insegnamento cristiano”. Nella Conclusione, il documento rileva “la preoccupazione per le difficoltà del momento presente, ma, al contempo, la speranza, fondata sulla fede cristiana”. “Da decenni, la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, e l’egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato l’equilibrio della regione e imposto alle popolazioni una violenza che rischia di gettarle nella disperazione. La conseguenza di tutto ciò è l’emigrazione, specialmente dei cristiani. Di fronte a questa sfida e sostenuto dalla comunità cristiana universale, il cristiano del Medio Oriente è chiamato ad accettare la propria vocazione, al servizio della società”. “Ai cristiani del Medio Oriente – conclude l”Instrumentum laboris’ – si può ripetere ancora oggi: ‘Non temere, piccolo gregge’ (Lc 12, 32), tu hai una missione, da te dipenderà la crescita del tuo Paese e la vitalità della tua Chiesa, e ciò avverrà solo con la pace, la giustizia e l’uguaglianza di tutti i suoi cittadini!”.