L’attuale contesto mediatico, segnato dai caratteri del linguaggio digitale che ormai permeano la cultura in ogni sua espressione, è un contesto inedito che rappresenta una sfida e un’opportunità per l’annuncio cristiano. Ne sono convinti i vescovi italiani, che nel comunicato finale della 60ma Assemblea della Cei parlano del mondo virtuale come una sfida, perché la cultura dominante promuove forme di nichilismo pratico, in cui i media non sono canali neutri, ma contribuiscono a creare consenso nei confronti di una mentalità basata sull’intensità e sul pathos più che sull’adesione al bene comune e al logos, ma anche come opportunità, perché la Chiesa stessa può far ricorso alla ricchezza del suo linguaggio, che è simbolico e paradossale. Ricorrendo al simbolo si legge ancora nel comunicato la Chiesa riesce a uscire dalla gabbia dell’immanenza, asfissiante e ripetitiva; usando il paradosso, non separa parola e vita e da questa intrinseca unità trae la propria legittimità e autorevolezza. Ad illustrare l’attuale contesto mediatico, durante l’ultima assise episcopale di Assisi, è stata Chiara Giaccardi, dell’Università Cattolica di Milano,il cui intervento è stato largamente apprezzato. Proprio sul tema Testimoni digitali: volti e linguaggi nell’era ipermediale la Cei ha in programma un importante convegno, che si svolgerà a Roma dal 22 al 24 aprile 2010.Oggi è urgente un’antropologia unitaria che non separi artificialmente l’etica individuale dall’etica sociale. Lo ha detto Adriano Fabris, docente di filosofia morale all’Università di Pisa, il cui intervento alla recente Assemblea di Assisi – afferma il comunicato finale sui lavori – è stato largamente apprezzato dai vescovi. Sullo sfondo dell’intervento di uno dei due laici che per la prima volta durante un’assise episcopale sono stati chiamati dai vescovi in veste di relatori l’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, che si legge nel comunicato aiuta a ritrovare l’integralità di una proposta antropologica, che non separa ma coordina le due facce della cosiddetta questione antropologica. Nei loro interventi, i vescovi hanno sottolineato che la relazionalità costituisce una dimensione carente nella cultura odierna, che si trova così amputata di una componente essenziale e rischia di perseguire la ricerca dei diritti senza preoccuparsi dei doveri correlati e di idolatrare una libertà che, priva della verità sull’uomo, si ritorce fatalmente contro la società nel suo insieme.Una delle qualità fondamentali del prete è la misericordia, di cui, paradossalmente, proprio la cultura trasgressiva e intollerante oggi così diffusa sente drammaticamente nostalgia, si legge ancora nel comunicato finale della 60ma Assemblea della Cei. Nonostante circoscritti casi di contro testimonianza, riferiscono i presuli a proposito del dibattito svoltosi ad Assisi, più voci di vescovi hanno fatto notare come la presenza del sacerdote sia oggi richiesta con speciale attenzione, spesso anche dai cosiddetti lontani. Di qui la gratitudine ammirata per il servizio discreto e nascosto di tanti preti nelle parrocchie e nei diversi ambiti pastorali, strada sicura per assicurare la prossimità della Chiesa in ogni realtà. Per quanto riguarda le diocesi, i vescovi italiani hanno auspicato che prosegua l’impegno per accrescere il senso dell’appartenenza dei sacerdoti a un unico presbiterio, superando un approccio individualistico al ministero. L’Anno Sacerdotale in corso, che registra nel nostro Paese non poche iniziative soprattutto di carattere spirituale e vocazionale, come ricorda il Santo Padre nel suo Messaggio, rappresenta per la Cei una formidabile occasione e una preziosa risorsa, in quanto aiuta i sacerdoti stessi e le comunità ecclesiali a comprendere il senso della vocazione sacerdotale e il dono che ogni prete è per la gente e per il mondo.Sir