Vita Chiesa

MONS. BETORI (FIRENZE), «L’EVANGELIZZAZIONE NON ACCETTA CONFINI»

Gesù è la “luce vera” e ma anche Giovanni Battista “partecipa al suo ministero di illuminazione come testimone”. Lo ha detto, oggi, mons. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, celebrando l’eucaristia nella cattedrale di s. Maria in Fiore, in occasione della solennità di S. Giovanni Battista, patrono della città. “Su questa linea – ha aggiunto – si pone anche il compito dei discepoli di Gesù, anche di noi oggi. Il servo del Signore, il Battista, Gesù, Paolo e gli altri apostoli, noi discepoli del Vangelo siamo tutti partecipi di una missione di illuminazione della vita dell’uomo che ha come caratteristica la sua estensione fino ai confini dell’umanità”, nel duplice aspetto del “suo proiettarsi sull’umanità come forza che sconfigge le tenebre e rivela l’uomo a se stesso secondo verità” e del suo “estendersi a un’ampiezza di esperienza umana che non interessa solo i confini geografici dei popoli del mondo ma tocca anche i confini esistenziali della condizione dell’uomo nella storia”. Ambedue questi aspetti – “la luce che sconfigge le tenebre e l’estendersi a tutti i confini dell’umano” – sono, per il presule, 2particolarmente rilevanti per il compito dei credenti nel nostro tempo, anche qui, oggi, a Firenze”. “Ci è chiesto anzitutto – ha chiarito mons. Betori – di rendere un servizio all’umanità in ordine alla verità, non come presuntuosi possessori di essa, ma come umili servitori di una testimonianza che non attira su di noi gli sguardi ma li rimanda all’uomo perfetto, Gesù Cristo”. Dunque, “all’uomo esitante e frammentato di oggi, all’uomo svilito a una sola dimensione, quella materialistica e consumistica, all’uomo intimorito dalle sue stesse conquiste, la fede e la testimonianza dei cristiani deve poter mostrare la pienezza di vita e di speranza che si irradia dal volto di Cristo”. “Non c’è risposta all’angoscia del vivere – ha sottolineato il presule – che nella contemplazione di questa luce che irradia della sua verità ogni creatura. Questa rivelazione di verità, che spalanca le porte alla pienezza dell’umanità, è lo specifico del cristiano nella vita culturale e sociale, un servizio irrinunciabile pena la riduzione della fede a una opinione vuota di significato, per la quale non merita impegnarsi”. Rinunciare invece a testimoniare la verità “sarebbe tradire il nostro Patrono, il testimone per eccellenza di Gesù-Verità, e sarebbe tradire la storia di Firenze, che ha radicato nella fede il suo fiorire migliore”. Al tempo stesso “occorre rivendicare che questa parola di verità vale per tutti gli uomini e per tutto l’uomo”.“L’evangelizzazione – ha ricordato mons. Betori – non accetta confini e ci rende responsabili dell’annuncio verso tutti, senza distinzioni. Come pure ci chiama a illuminare della sapienza del Vangelo ogni dimensione dell’umano, evitando di relegare la fede a spazi e tempi delimitati, lasciando il di più della vita fuori della sua influenza”. L’uomo “non può essere fatto a pezzi, alcuni dei quali da dedicare a Dio e altri ad altre autorità, siano esse di stampo scientifico, sociale, economico o politico. Il rispetto dell’autonomia dei metodi di ricerca e di sviluppo nei diversi ambiti dell’umano non può prescindere dal fatto che essi diventano veramente umani solo quando si ricompongono nell’unità della persona e rispettano in essa la sua apertura trascendente”. C’è “una luce che proviene dal Vangelo che sola può illuminare definitivamente il volto della persona umana” e “una parola della fede che interessa ogni ambito dell’esistenza dell’uomo”. Non solo: “Se oggi soffriamo una crisi economica scaturita proprio da illusioni e falsità nella finanza, non meno inquietante per noi dovrebbe essere la rinuncia alla Verità che segna la nostra cultura e la crisi di veracità nell’ambito sociale”. Comunque, “la Chiesa sa di non essere sola nella società, ed è pronta a collaborare con tutti coloro che hanno a cuore il rispetto della dignità dell’uomo e l’edificazione del bene comune”.“Non ci anima – ha evidenziato mons. Betori – uno spirito antagonista, ma al contrario una istanza di comunione, che si traduce nell’azione culturale e sociale nelle forme più ampie della collaborazione, nel rispetto delle diverse competenze e responsabilità”. “Vale anche in questo passaggio della vita cittadina e del territorio – ha precisato -, in cui nuovi responsabili delle istituzioni si apprestano ad assumere il servizio cui sono stati chiamati dai cittadini. A loro va il nostro rispettoso saluto, insieme alla garanzia di cordiale collaborazione. A tutti, nelle istituzioni come nel variegato mondo sociale, va l’appello alla concordia per il bene della città e del suo territorio, una concordia che non spegne le differenze ma le esalta come contributi convergenti verso il bene comune”. “E per noi – ha sostenuto il presule – parlare di bene comune ha un preciso significato: non certo quello della somma dei beni particolari e tanto meno quello di un bene indistinto che dovrebbe soddisfare tutti, bensì ‘l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente’. Così si cresce non gli uni contro gli altri e neppure nella massificazione anonima, ma favorendo la crescita di ogni persona, di ciascun gruppo sociale, secondo la sua propria identità e verità”.Sir