Il vero scopo del pellegrinaggio deve essere quello di incontrare Dio; di adorarlo e così mettere nell’ordine giusto la relazione di fondo della nostra vita: lo ha detto, ieri mattina, Benedetto XVI, nell’omelia della messa per la Domenica delle Palme. Alla folla colorata presente a piazza San Pietro, soprattutto di giovani provenienti da tutto il mondo, il Papa ha ricordato: Cari amici, per questo ci siamo riuniti qui: «Vogliamo vedere Gesù». A questo scopo, l’anno scorso, migliaia di giovani sono andati a Sydney. Certo, avranno avuto molteplici attese per questo pellegrinaggio. Ma l’obiettivo essenziale era questo: Vogliamo vedere Gesù. In realtà, mediante la risurrezione, Gesù oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e la sua parola viene portata avanti in modo nuovo e compresa in modo nuovo, viene il suo Regno. Ma quali sono le caratteristiche essenziali di questo Regno? Il Santo Padre ne segnala due: la cattolicità e l’università. La prima è che questo Regno passa attraverso la croce. Poiché Gesù si dona totalmente, può come Risorto appartenere a tutti e rendersi presente a tutti. Nella santa Eucaristia riceviamo il frutto del chicco di grano morto, la moltiplicazione dei pani che prosegue sino alla fine del mondo e in tutti i tempi. La seconda caratteristica è che il suo Regno è universale. Il Regno di Cristo, ha precisato Benedetto XVI, non poggia su una regalità di un potere politico, ma si basa unicamente sulla libera adesione dell’amore, un amore che, da parte sua, risponde all’amore di Gesù Cristo che si è donato per tutti. Penso ha evidenziato che dobbiamo imparare sempre di nuovo ambedue le cose: innanzitutto l’universalità, la cattolicità. Essa significa che nessuno può porre come assoluto se stesso, la sua cultura e il suo mondo. Ciò richiede che tutti ci accogliamo a vicenda, rinunciando a qualcosa di nostro. L’universalità, ha chiarito, include il mistero della croce, il superamento di se stessi, l’obbedienza verso la comune parola di Gesù Cristo nella comune Chiesa. L’universalità è sempre un superamento di se stessi, rinuncia a qualcosa di personale. L’universalità e la croce vanno insieme. Solo così si crea la pace. Per il Papa, solo nell’abbandono di se stessi, solo nel dono disinteressato dell’io in favore del tu, soltanto nel sì alla vita più grande, propria di Dio, anche la nostra vita diventa ampia e grande. Così questo principio fondamentale, che il Signore stabilisce, in ultima analisi è semplicemente identico al principio dell’amore. Allora, occorre osare il grande sì alla verità che il Signore ci mette davanti che deve poi essere quotidianamente riconquistato nelle situazioni di tutti i giorni.Ad una vita retta ha avvertito Benedetto XVI appartiene anche il sacrificio, la rinuncia, anzi non esiste una vita riuscita senza sacrificio. Se getto uno sguardo retrospettivo sulla mia vita personale, devo dire che proprio i momenti in cui ho detto sì ad una rinuncia sono stati i momenti grandi e importanti della mia vita. Come Gesù di fronte al terrore della passione, anche noi possiamo lamentarci davanti al Signore come Giobbe, presentargli tutte le nostre domande di fronte all’ingiustizia nel mondo e alla difficoltà del nostro stesso io. Perciò, davanti a Lui non dobbiamo rifugiarci in pie frasi, in un mondo fittizio. Pregare significa sempre anche lottare con Dio, e come Giacobbe possiamo dirgli: Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!. Ricordando il passaggio della Croce della Gmg dai giovani australiani agli spagnoli che ci sarebbe stata alla fine dell’Angelus, il Papa ha detto: quanto più per amore della verità e dell’amore di Dio possiamo fare anche qualche rinuncia, tanto più grande e più ricca diventa la vita. Chi vuole riservare la sua vita per se stesso, la perde. Chi dona la sua vita, quotidianamente nei piccoli gesti, questi la trova. In questa verità esigente, ma anche profondamente bella e liberatrice, ha concluso, vogliamo passo passo entrare durante il cammino della Croce attraverso i continenti.Sir