Vita Chiesa

BENEDETTO XVI, CONVEGNO DIOCESI DI ROMA: NON È LA SCIENZA, MA L’AMORE A REDIMERE L’UOMO

“Gesù risorto dai morti è veramente il fondamento indefettibile su cui poggia la nostra fede e della nostra speranza: lo è fin dall’inizio, fin dagli apostoli, che sono stati testimoni diretti della Resurrezione e l’hanno annunciata al mondo a prezzo della loro vita. Lo è oggi e lo sarà sempre”. A ribadirlo stato questa sera il Papa, che aprendo il Convegno annuale della diocesi di Roma, nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, ha ripetuto quanto affermato durante il Convegno ecclesiale nazionale di Verona, il 19 ottobre del 2006: “La Risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa on è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande mutazione mai accaduta, il salto decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo”. Solo alla luce di questa speranza, per il Santo Padre, “possiamo comprendere la vera dimensione della fede cristiana, liberandoci dagli equivoci e dalle false alternative che nel corso dei secoli hanno ristretto ed indebolito la nostra speranza”. Una speranza, dunque, “personale” e “comunitaria, per la Chiesa e l’intera famiglia umana”.

“Nella società e nella cultura di oggi, non è facile vivere nel segno della speranza cristiana”, ha detto ancora il Papa aprendo il Convegno pastorale della diocesi di Roma: “Prevalgono spesso – ha proseguito – atteggiamenti di sfiducia, delusione e rassegnazione, che contraddicono non solo la grande speranza della fede, ma anche quelle piccole speranze che ci confortano nello sforzo di raggiungere gli obiettivi della vita quotidiana”. In particolare, per Benedetto XVI “è diffusa la sensazione che, per l’Italia come per l’Europa, gli anni migliori siano ormai alle spalle e che un destino di precarietà e di incertezza attenda le nuove generazioni”. Di contro, le “aspettative di grandi novità e miglioramenti si concentrano sulle scienze e sulle tecnologie, come se solo da esse potesse venire la soluzione dei problemi”. Di qui l’affermazione centrale del Santo Padre: “Sarebbe insensato negare o minimizzare l’enorme contributo delle scienze e delle tecnologie alla trasformazione del mondo e delle nostre concrete condizioni di vita, ma sarebbe altrettanto miope ignorare che i loro progressi mettono nelle mani dell’uomo anche abissali potenzialità di male e che, in ogni caso, non sono le scienze e le tecnologie a dare un senso alla nostra vita e a poterci insegnarci a distinguere il bene dal male”.

“Non è la scienza, ma l’amore a redimere l’uomo”, ha ammonito infatti il Pontefice, denunciando “la debolezza della speranza nel mondo in cui viviamo”. “La nostra civiltà e la nostra cultura, che pure hanno incontrato Cristo da duemila anni – il grido d’allarme di Benedetto XVI – tendono troppo spesso a mettere Dio tra parentesi, ad organizzare senza di Lui la vita personale e sociale, e anche a ritenere che di Dio non si possa conoscere nulla, o perfino a negare la sua esistenza”. “Ma quando Dio è lasciato da parte – la convinzione di fondo del Santo Padre – nessuna delle cose che veramente ci premono può trovare una stabile collocazione, tutte le nostre grandi e piccole speranze poggiano nel vuoto”. Di qui la necessità di “aprire a Dio il nostro cuore, la nostra intelligenza e tutta la nostra vita, per essere così, in mezzo ai nostri fratelli suoi credibili testimoni”. Questa è la quarta volta che il Papa apre il Convegno pastorale annuale della diocesi di Roma: a ricordarlo è statolo stesso Benedetto XVI, in apertura del suo discorso, nel quale ha rimandato alla sua recente Lettera indirizzata alla diocesi di Roma sull’”emergenza educativa”. Come obiettivo del prossimo anno pastorale, il Papa ha consegnato alla sua diocesi quello di riflettere su “come educarci concretamente alla speranza”, identificando “alcuni luoghi del suo pratico apprendimento ed effettivo esercizio”.“Non è la scienza, ma l’amore a redimere l’uomo”, ha ammonito infatti il Pontefice, denunciando “la debolezza della speranza nel mondo in cui viviamo”. “La nostra civiltà e la nostra cultura, che pure hanno incontrato Cristo da duemila anni – il grido d’allarme di Benedetto XVI – tendono troppo spesso a mettere Dio tra parentesi, ad organizzare senza di Lui la vita personale e sociale, e anche a ritenere che di Dio non si possa conoscere nulla, o perfino a negare la sua esistenza”. “Ma quando Dio è lasciato da parte – la convinzione di fondo del Santo Padre – nessuna delle cose che veramente ci premono può trovare una stabile collocazione, tutte le nostre grandi e piccole speranze poggiano nel vuoto”. Di qui la necessità di “aprire a Dio il nostro cuore, la nostra intelligenza e tutta la nostra vita, per essere così, in mezzo ai nostri fratelli suoi credibili testimoni”. Questa è la quarta volta che il Papa apre il Convegno pastorale annuale della diocesi di Roma: a ricordarlo è statolo stesso Benedetto XVI, in apertura del suo discorso, nel quale ha rimandato alla sua recente Lettera indirizzata alla diocesi di Roma sull’”emergenza educativa”. Come obiettivo del prossimo anno pastorale, il Papa ha consegnato alla sua diocesi quello di riflettere su “come educarci concretamente alla speranza”, identificando “alcuni luoghi del suo pratico apprendimento ed effettivo esercizio”.

“La preghiera ci apre a Dio e ai fratelli” ed “è l’opposto di una fuga dalle nostre responsabilità verso il prossimo”, anzi porta a diventare “ministri delle speranza per gli altri”. Con questa riflessione il Papa ha continuato il suo discorso ieri sera aprendo il convegno diocesano di Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano. “Educare all’arte della preghiera”, ha ricordato Benedetto XVI, é “un compito essenziale” e per questo le nostre comunità devono diventare autentiche scuole di preghiera”, una preghiera che arriva ad essere “invaghimento del cuore” nella consapevolezza che “ogni agire serio dell’uomo è speranza in atto”. Nell’esperienza cristiana, ha sottolineato il Papa, l’educazione e la formazione pongono la persona davanti ai “problemi concreti” della città, stimolandola a operare per “una cultura e un’organizzazione sociale più favorevole alla famiglia, all’accoglienza della vita, oltre che alla valorizzazione delle persone anziane”. Così è indispensabile porre grande attenzione a “bisogni primari” quali sono “il lavoro e la casa” nonché “una città più sicura e vivibile per tutti, in particolare per i più poveri” e nella quale “non sia escluso l’immigrato che viene tra noi con l’intenzione di trovare uno spazio di vita nel rispetto delle nostre leggi”.

Dopo aver ricordato che nel contribuire al bene della città il cristiano deve avere “un atteggiamento di umiltà” che “non pretende di avere sempre successo” o di “risolvere ogni problema con le proprie forze” il Papa, nel discorso di ieri sera in san Giovanni in Laterano, ha affrontato il tema della sofferenza. “La speranza cristiana – ha detto – vive anche nella sofferenza” e l’esperienza del dolore “educa e fortifica la nostra speranza”. Anche se dobbiamo “fare tutto il possibile per dimiuire la sofferenza” e “grandi progressi sono stati compiuti nella lotta contro il dolore fisico” occorre prendere atto, ha aggiunto, che “non è in nostro potere prosciugare le sue fonti”. In particolare Benedetto XVI si è soffermato sulla “sofferenza degli innocenti” e sui “disagi psichici” per poi sottolineare che “nel rapporto con la sofferenza e con le persone sofferenti si determina la misura della nostra umanità”, della nostra “ capacità di condividere anche interiormente la sofferenza dell’altro”. Ha fatto seguito una raccomandazione: “educhiamoci ogni giorno alla speranza che matura nella sofferenza in primo luogo quando siamo colpiti personalmente da una grave malattia” ma anche condividendo “la sofferenza dei vicini, dei familiari, di ogni persona che è il nostro prossimo”. Infine l’invito a “offrire a Dio le piccole fatiche dell’esperienza quotidiana”.

Sir