Il rito, in quanto azione, ha il corpo come soggetto primario. Questo non è facile da accettare. Per lo più il primato è riconosciuto alla razionalità, ma in questo modo il corpo è considerato come un oggetto sotto il controllo della mente: è la premessa dalla quale è partito mons. Giuseppe Busani, presidente dell’Associazione professori di liturgia (Apl), intervenuto al VI Convegno liturgico internazionale Assemblea santa. Forme, presenze, presidenza in corso presso il monastero di Bose. Il rito ha proseguito Busani – è quell’agire del corpo che, liberandolo dall’inerzia del suo uso strumentale, porta a vivere la relazione e a sperimentare la trascendenza. Le emozioni, per paura di cadere in un sentimentalismo equivoco, sono state rimosse dalla liturgia ma quando vengono a mancare, il rito diviene una sequenza di comportamenti eseguiti con noiosa precisione, e si rischia la deriva di un formalismo anestetizzante. Nell’assemblea liturgica si realizza la vocazione cristiana ed ecclesiale, proprio perché i corpi sono chiamati a formare un corpo (ecclesiale) nell’unico corpo (di Cristo). Di conseguenza: Tutte le metafore che utilizzano il termine corpo per indicare la chiesa e Cristo ha concluso Busani sarebbero delle astrazioni inconsistenti se perdessero il legame con la fisicità dei corpi umani dai quali prendono origine. La relativa rivoluzione dell’assetto assembleare nella liturgia conseguente al Vaticano II era l’immagine viva del nuovo modo con cui l’intera chiesa concepiva la propria presenza nella storia: così Giuliano Zanchi, direttore del Museo diocesano di Bergamo, ha concluso il lungo excursus su Tipologia e topografia: l’assemblea liturgica nella storia Rispetto a quello che rimane un compito ancora da eseguire, secondo Zanchi va notato che: Un’assemblea liturgica oggi, molto più di quanto non potesse succedere nel passato, rivela la qualità complessiva della comunità che la celebra e che sull’educazione corporea alla liturgia non si è lavorato quanto il carattere delle nostre nuove assemblee avrebbe richiesto. Nel frattempo, a causa delle fatiche sperimentate che hanno generato blandi adattamenti, l’assemblea liturgica postconciliare ha trovato un suo assestamento in uno schema di prudenza che vive ancora della potente memoria corporea dell’assemblea frontale tridentina. L’architettura per la liturgia: non aiuta molto questa fase di stallo, insistendo sullo schema di un’assemblea frontale opposta ad un presbiterio plenario. All’interno di questa geografia congelata, ha concluso Zanchi, l’estrosità della vita liturgica delle diverse comunità riscrive topografie adattate e ricava propri percorsi anomali.Sir