Vita Chiesa

COMECE: MONS. VAN LUYN, IL CONTRIBUTO DELLA FEDE ALL’UE PER USCIRE DALLA CRISI

Pur essendo “necessario”, il Trattato di Lisbona non basta “per risolvere la crisi della politica europea” che “si colloca all’interno della crisi del cittadino europeo” e, più in generale, nella “crisi di senso del nostro tempo”. A questo fine occorre piuttosto “non relegare la fede nella riserva recintata della sfera privata, né limitarsi ad ammettere il contributo delle religioni ai più seri dibattiti della società, ma, piuttosto accoglierlo e sostenerlo”. Lo ha detto questo pomeriggio a Bruxelles mons. Adrianus van Luyn, vescovo di Rotteredam e presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), nella prolusione di apertura della plenaria (fino al 7 marzo) su “Rispetto della dignità umana e salvaguardia del creato – L’incarnazione del bene comune da parte delle politiche europee del XXI secolo”. Ripercorrendo i principali avvenimenti che hanno interessato l’Ue negli ultimi mesi, mons. Van Luyn ha spiegato che “Kosovo, protezione del clima, dialogo interculturale e Trattato di Lisbona” saranno l’oggetto di riflessione dei lavori. Pur con talune riserve, ha sottolineato, il Trattato di Lisbona “è riuscito ad adeguare il funzionamento dell’Unione all’accresciuto numero degli Stati membri, a razionalizzare l’Ue e ad avvicinarla all’ideale democratico”, rendendo più semplice per il futuro “spiegarne il funzionamento ai cittadini”.

Secondo mons. Van Luyn, il vero problema tuttavia non è sapere “come” l’Ue funziona, ma piuttosto “perché” e “per quale obiettivo”. Richiamando il “gruppo di esperti” creato dal Consiglio europeo nello scorso dicembre con l’incarico di redigere entro la primavera 2010 “un rapporto sull’essenza e la missione Ue per il decennio 2020-2030”, il presidente Comece ha osservato che tale questione “è implicitamente metapolitica”, cioè legata “al fondamento dei valori dell’azione politica stessa”. Analizzando quindi la politica messa in atto di fronte alla minaccia terroristica o ai rischi del cambiamento climatico, mons. Van Luyn l’ha definita “giusta e responsabile” ma, ha ammonito, “una politica che si accontenta unicamente di reagire va contro lo spirito europeo, mentre la costante crescita del benessere materiale” di cui “beneficiano, tra l’altro, solo piccoli gruppi, non può, a lungo termine, essere il solo obiettivo della politica europea”. Proprio nel tema della plenaria, secondo il presule, vi è la “risposta alla domanda sull’utilità dell’Ue nel XXI secolo”; una “formula abbreviata del bene comune europeo” che “non può realizzarsi se non nella ricerca di giustizia e attraverso la conseguente applicazione dei principi di solidarietà e sussidiarietà”.

Ribadendo che in Europa la crescita materiale si è accompagnata con “la scomparsa di senso” che “va di pari passo con la difficoltà di dare un nome al male”, il presidente Comece ha affermato: “Non si può escludere la possibilità di trovare la chiave per superare la crisi nella rinascita dei sentimenti religiosi” di cui “molti segni sono la prova”. In tale orizzonte “la politica in Europa e in particolare le istituzioni europee” sono chiamate “a rispettare l’essere umano nella sua dimensione religiosa e spirituale, ma anche a riconoscere l’importanza” di tale dimensione. La politica europea dovrà essere “una politica per l’essere umano nella sua interezza, la cui straordinaria dignità consiste principalmente nella capacità” di “aprirsi ad una dimensione superiore”. Di qui la richiesta di “ascolto e sostegno” al contributo della religione e della fede, al cui riguardo “il dialogo previsto dal Trattato di Lisbona tra Ue e comunità religiose costituisce un segnale incoraggiante”. Per mons. Van Luyn, si tratta “di riconoscere l’eredità religiosa dell’Europa” sottolineandone “la parte specificamente cristiana, senza tuttavia discriminare le altre religioni”. Di fronte alla rinascita del religioso in Europa, “la maggiore sfida per la Chiesa consiste allora nel comunicare” che, “proprio nella religione, la libertà trova pienezza solo nella scelta dell’impegno” perché “nella vita politica e sociale, diritti e doveri da una parte, e libertà e responsabilità dall’altra, sono indissolubilmente legati”.

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