Vita Chiesa

PAPA: ENCICLICA «DIO È AMORE», «HO SCELTO QUESTO TEMA PER RIPORTARE LA PAROLA AMORE AL SUO SPLENDORE ORIGINARIO»

È stato il desiderio di riportare la parola “amore” al “suo splendore originario” ciò che ha spinto Benedetto XVI a scegliere l’amore come tema della sua prima Enciclica. Lo ha spiegato lui stesso rivolgendosi questa mattina ai partecipanti all’incontro promosso in Vaticano dal Pontificio Consiglio “Cor Unum”.

“La parola amore – ha detto Benedetto XVI – oggi è così sciupata, così consumata e abusata che quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra”. Eppure “noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla sulla retta via. È stata questa consapevolezza che mi ha indotto a scegliere l’amore come tema della mia prima Enciclica”.

Nel presentare le origini e i contenuti della sua Enciclica, il Santo Padre ha ripreso stralci della “Divina Commedia” di Dante. Nel Paradiso, il poeta fiorentino “narra di una vista che s’avvalorava mentre egli guardava e lo mutava interiormente. Si tratta – ha spiegato il Papa – proprio di questo: che la fede diventi una visione-comprensione che ci trasforma”. Da qui l’invito perché la fede non sia “una teoria che si può far propria o anche accantonare”. È una cosa molto concreta – ha detto il Papa -: è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un’epoca nella quale l’ostilità e l’avidità sono diventate superpotenze, un’epoca nella quale assistiamo all’abuso della religione fino all’apoteosi dell’odio, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte”. Nella Enciclica, il Papa voleva “mostrare l’umanità della fede, di cui fa parte l’eros”. In questa “umanità” entra anche il “sì che nel matrimonio indissolubile tra uomo e donna trova la sua forma radicata nella creazione. E lì – ha detto il Papa – avviene anche che l’eros si trasforma in agape – che l’amore per l’altro non cerca più se stesso, ma diventa preoccupazione per l’altro, disposizione al sacrificio per lui e apertura anche al dono di una nuova vita umana”. Se, dunque, “una prima lettura dell’Enciclica potrebbe forse suscitare l’impressione che essa si spezzi in due parti tra loro poco collegate” (parte teorica e parte concreta), era in realtà intenzione del Papa sottolineare “proprio l’unità dei due temi che, solo se visti come un’unica cosa, sono compresi bene”. In questa luce, si comprende perché “l’organizzazione ecclesiale della carità non è una forma di assistenza sociale”. “Questa attività – ha detto il Papa -, oltre al primo significato molto concreto dell’aiutare il prossimo, possiede essenzialmente anche quello del comunicare agli altri l’amore di Dio, che noi stessi abbiamo ricevuto”. “Lo spettacolo dell’uomo sofferente – ha detto il Papa – tocca il nostro cuore. Ma l’impegno caritativo ha un senso che va ben oltre la semplice filantropia. È Dio stesso che ci spinge nel nostro intimo ad alleviare la miseria. Così, in definitiva, è Lui stesso che noi portiamo nel mondo sofferente. Quanto più consapevolmente e chiaramente lo portiamo come dono, tanto più efficacemente il nostro amore cambierà il mondo e risveglierà la speranza – una speranza che va al di là della morte”.Sir