Vita Chiesa

PARROCCHIA E DOMENICA: MONS. BETORI, NO ALLA SINDROME DI MINORANZA, SÌ A PARROCCHIE ANTIDOTO ALL’ANONIMATO

In un mondo in cui “in molte regioni” i cristiani sono, o stanno diventando, un “piccolo gregge”, la parrocchia e la messa della domenica rappresentano “un segno di comunione e quindi di identità che evita la dispersione, l’anonimato”. Lo ha detto mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, aprendo l’ultima giornata del Convegno unitario degli Uffici catechistico e liturgico della Cei e della Caritas Italiana, che si conclude oggi a Lecce sul tema “La parrocchia vive la domenica”.

A proposito del “dibattito” sul ”presunto avvio del cattolicesimo italiano verso una situazione di minoranza”, il segretario generale della Cei si è detto “non molto convinto” di tale “lettura delle attuali tendenze”, visto che è “assai difficile accordarsi su quali siano i parametri in base ai quali giudicare una permanenza o meno del cristianesimo come esperienza vitale della nostra gente, ed essendo al contrario indiscutibile il riconoscimento della persistente presenza dei riferimenti cristiani nella cultura diffusa, anche se non più in quella pubblica, del nostro Paese”. ”Coniugare insieme coscienza identitaria e proiezione missionaria”: questo, per la Cei, un “problema centrale per il cattolicesimo oggi in Italia”, in un’”atmosfera ecclesiale generale che dà nuovamente fiducia alla parrocchia e alle sue potenzialità missionarie”. La “svolta missionaria” della parrocchia, come rivela la Nota pastorale dei vescovi italiani pubblicata di recente a riguardo, comporta la capacità di prendere coscienza dei “molti aspetti del cambiamento che orientano la gente in direzione contraria al Vangelo”, come la “frammentazione” della vita delle persone, “contese da contrastanti appartenenze”, l’esigenza di legami “caldi”, il bisogno del “sacro” ed il “diffondersi di vicende spirituali assai diversificate che chiedono risposte diverse”. Una “passione immensa”, la “dimensione poplare” e la capacità di promuovere “ospitalità” ai “lontani”. Queste, ha ricordato Betori, le carte vincenti della parrocchia, la cui “radice eucaristica” deve permeare tutta la “pastorale ordinaria”. Per “mantenere un legame vivo con la gente”, ha sottolineato il segretario generale della Cei, il primo “atteggiamento di fondo” da promuovere è l’ospitalità, che consiste nel “saper fare spazio a chi è, o si sente, estraneo alla comunità parrocchiale e quindi alla Chiesa stessa”.

La parrocchia, dunque, come “rete di relazioni”, in grado anche di andare in “ricerca” dei “dispersi”, tramite “un’azione che si traduce in provocare la domanda di senso e di salvezza là dove essa tace, ma anche di contrastare le risposte dominanti nella cultura che ci circonda quando esse suonano lontano e contro il Vangelo”. Il “rinnovamento della parrocchia, “in questa prospettiva, richiede per Betori “non solo di superare la ghettizzazione dei ‘vicini’, ama anche di attrezzarsi culturalmente in modo più adeguato”, soprattutto per essere in grado di “intercettare linguaggi e contenuti” dei giovani.

Betori ha messo in guardia anche da una visione riduttiva della parrocchia come una sorta di agenzia socio-caritativa: “C’è un ‘successo’ sociale della parrocchia che non deve illuderci e andrebbe meglio verificato nei motivi”, così come andrebbero posti “dubbi” anche a riguardo di “certe esperienze comunitarie, in cui si scivola facilmente dalla spiritualità al sostegno psicologico”. ”Contro ogni deriva sociologica o psicologica della parrocchia, occorre tornare all’essenzialità della fede”, ha concluso Betori, raccomandando di evitare le due “derive “ principali da cui oggi la parrocchia è minacciata: quella a ridursi ad una comunità “autoreferenziale”, in cui “ci si accontenta di trovarsi bene, coltivando rapporti ‘caldi’, rassicuranti”, e quella di diventare un “centro di servizi” religiosi, a cui si accede essenzialmente per ricevere sacramenti. Sir

Nota pastorale «Il volto missionario delle parrocchie»