Vita Chiesa
INQUISIZIONE: SANTA SEDE, I LUOGHI COMUNI SU «CACCIA ALLE STREGHE» E PENA DI MORTE
Il ricorso alla tortura e la condanna alle pena di morte, nella storia dell’Inquisizione, non furono così frequenti così come si è per molto tempo creduto. Lo ha detto Agostino Borromeo, curatore del volume su L’inquisizione, presentato oggi in Vaticano. Ormai gli storici ha affermato il relatore non usano più il tema dell’Inquisizione come strumento per difendere o attaccare la Chiesa, perché a differenza di quanto in passato il dibattito si è spostato sul piano storico, con statistiche serie, anche grazie al grosso passo avanti rappresentato dall’apertura degli archivi segreti dell’ex Congregazione del Sant’Uffizio, voluta dal Papa nel 1998. Oggi è possibile fare la storia dell’Inquisizione prescindendo dai luoghi comuni perpetrati fino all’Ottocento, ha puntualizzato lo studioso.
Interrogato dai giornalisti sulla caccia alle streghe, Borromeo ha citato, in particolare, l’attività dell’Inquisizione spagnola, che su 125. 000 processi ha mandato al rogo 59 streghe; 36 ne sono state bruciate in Italia, 4 in Portogallo. Se si sommano questi dati ha commentato non arriviamo neanche ad un centinaio di casi, contro i 50.000 di persone condannate al rogo, in prevalenza dai tribunali civili, su un totale di 100.000 processi (civili ed ecclesiastici) celebrati in tutta Europa nell’età moderna. Analogo discorso per la pena di morte: sui 44.674 processi celebrati dall’Inquisizione spagnola tra il 1540 e il 1.700, si legge nel volume, i condannati a rogo ammontano all’1,8%, cui va aggiunto un altro 1,7% di condannati a morte in contumacia (veniva bruciato un manichino con il nome e cognome della persona che si era data alla fuga.
Tutti siamo condizionati dalla mentalità comune, ha aggiunto, menzionando il senso della relatività del giudizio morale di fronte ad atti su cui la coscienza cristiana comincia poco a poco a vedere chiaro. Basti pensare che un Paese come la Francia ha abolito la pena di morte solo nel 1976. A mettere in guardia da un certo anacronismo, che consiste nell’attribuire ad un’epoca ciò che conosciamo oggi è stato anche il card. Roger Etchegaray, già presidente del Comitato centrale del Grande Giubileo, che ha definito esemplare l’atteggiamento tenuto da Giovanni Paolo II in tutto il suo pontificato, ma specialmente durante il Giubileo, quando ci ha insegnato a non avere paura né delle persone, né di niente, ancor meno della verità.