Un Papa che “scavalca” il discorso preparato (“Lo troverete sull’Osservatore romano”) e parla “a braccio” in romanesco. E’ la “sorpresa” riservata oggi da Giovanni Paolo II ai parroci romani: un incontro tradizionale, quello con il clero della diocesi di Roma all’inizio della Quaresima, ma che quest’anno è stato così “vivace” da spingere la sala stampa della Santa Sede a diffondere un secondo bollettino (dopo quello con il discorso ufficiale del Papa) dedicato alle parole “improvvisate” del Pontfice. “Dàmose da fa!”, “volèmose bene!”, “semo romani”, le frasi finali del Papa, che ha congedato i parroci con una battuta: “Non ho imparato il romanesco: vuol dire che non sono un buon vescovo di Roma?”. E ancora: “Qui c’è il testo che avevo preparato, ma l’ho scavalcato!”. Poi il Papa ha voluto “sintetizzare” il senso del suo discorso scritto: “Cosa vuol dire Roma? Città petrina. E ogni parrocchia è petrina. Sono 340 le parrocchie di Roma. 300 le ho già visitate. Ne mancano 40. Ma cominceremo già questo sabato a completare il numero delle visite. Speriamo che tutto vada bene”. Sulla famiglia, al centro del discorso papale, Giovanni Paolo II ha usato accenti personali: “Ho imparato da tempo, da quando ero a Cracovia, a vivere accanto alle coppie, alle famiglie. Ho anche seguito da vicino il cammino che conduce due persone, un uomo e una donna, a creare una famiglia e, con il matrimonio, a divenire sposi, genitori”. “Grazie a voi ha concludo rivolgendosi ai parroci perché la vostra sollecitudine pastorale va verso le famiglie e perché cercate di risolvere tutti quei problemi che la famiglia può portare con sé. Vi auguro una buna continuazione in questo campo importantissimo, perché attraverso la famiglia passa il futuro della Chiesa e il futuro del mondo”. Sir