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La Siria è “un ‘purgatorio geopolitico’ tra Usa e Cina”

Oggi 15 marzo ricorre il 14° anniversario dell'inizio della guerra civile in Siria che ha avuto una svolta, lo scorso 8 dicembre, con la caduta del regime di Bashar Al-Assad ad opera di una coalizione di forze armate ribelli guidate da Ahmed al-Sharaa, nome di battaglia Al-Jolani, leader della fazione islamista Hayat Tahrir al-Sham (Hts) già Al Nusra, affiliata all’Isis. Della situazione attuale e degli eventuali sviluppi futuri abbiamo parlato con Pejman Abdolmohammadi, docente di Storia e Politica del Medio Oriente all'Università di Trento

Oggi ricorre il 14° anniversario dell’inizio della guerra civile in Siria che ha avuto una svolta, lo scorso 8 dicembre, con la caduta del regime di Bashar Al-Assad ad opera di una coalizione di forze armate ribelli guidate da Ahmed al-Sharaa, nome di battaglia Al-Jolani, leader della fazione islamista Hayat Tahrir al-Sham (Hts) già Al Nusra, affiliata all’Isis.

(Foto Ispi)

Della situazione attuale e degli eventuali sviluppi futuri abbiamo parlato con Pejman Abdolmohammadi, professore di Storia e Politica del Medio Oriente all’Università di Trento.

Professore, anzitutto un parere su come sta procedendo questa transizione siriana post Assad, ora sotto la guida di Al-Jolani?
C’è un problema significativo che spesso viene sottovalutato: ciò che è avvenuto l’8 dicembre 2024 sarebbe stato ben diverso se fosse accaduto l’8 gennaio 2025. Infatti, il cambio politico in Siria è avvenuto un mese prima dell’inizio di un nuovo paradigma globale. La Siria si trova attualmente in una sorta di “purgatorio geopolitico”.

Al-Jolani ha preso rapidamente il controllo, ma lo ha fatto nel quadro di un ordine mondiale ormai in declino. Ora, molto dipenderà dalla sua capacità di adattarsi al nuovo contesto globale. In caso contrario, rischia di essere rapidamente isolato.

Come interpreta le recenti violenze contro gli alawiti condotte dalle forze di sicurezza siriane? Si tratta di semplici rappresaglie o c’è altro?
Questi eventi sono un’eredità del vecchio paradigma mediorientale basato sul settarismo e sulla divisione etnico-religiosa: sunniti contro sciiti, alawiti contro siriani non-alawiti.

Il nuovo assetto internazionale richiede un Medio Oriente stabile, pacificato e industrializzato, soprattutto per contrastare l’influenza cinese.

In questa nuova ottica gli Stati Uniti di Trump non hanno interesse a fomentare divisioni settarie, bensì a sostenere una regione economicamente prospera e unita. Le recenti violenze settarie, quindi, rappresentano gli ultimi tentativi disperati di rilanciare caos e terrorismo, tipici di un ordine che ormai sta scomparendo. Sono episodi gravi, senza dubbio, ma a lungo termine non incideranno in modo determinante.

Quale ruolo avranno ora Russia e Iran nella Siria di Al-Jolani?
Siria e Iran non sono oggi attori autonomi, bensì oggetti cruciali della trattativa in corso tra Trump e Putin. Per Putin, la scelta sarà tra tentare di mantenere una sfera d’influenza indebolita nel Medio Oriente, oppure negoziare con Washington un baratto strategico: rinunciare a parte del proprio ruolo mediorientale per avere in cambio mano libera in Europa orientale, a partire dall’Ucraina. La vera partita geopolitica, dunque, si gioca tra Mosca e Washington, e l’esito di questa trattativa definirà il futuro ruolo di Russia e Iran in Siria.

Come si posiziona Israele rispetto alla Siria in questa nuova fase politica?
Israele sta approfittando della debolezza attuale della Siria, in particolare lungo il confine meridionale. Dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, Israele ha ridefinito le proprie priorità strategiche, allineandosi con il nuovo paradigma americano. Israele, quindi, non vuole una guerra con la Siria, purché questa si adatti ai nuovi equilibri regionali. Tuttavia, qualora il nuovo regime siriano si mostrasse inflessibile, Tel Aviv potrebbe optare per una strategia più aggressiva.

Quanto pesano sulla stabilizzazione del Paese i recenti accordi della Siria con curdi e drusi?
Gli accordi rientrano pienamente nel nuovo paradigma geopolitico. La direzione presa dai curdi siriani, come anche dai drusi, è orientata verso la creazione di autonomie regionali simili a quelle europee, sul modello del Trentino Alto Adige.

La fase della divisione etnico-settaria, che ha caratterizzato il Medio Oriente negli ultimi decenni, è terminata. Ora prevalgono modelli di Stato-Nazione con ampia autonomia locale.

Quale sarà il ruolo della Turchia nella Siria post Assad?
Siria e Turchia restano competitori strategici naturali, ma Erdogan sa che con il ritiro parziale della Russia dal Medio Oriente si aprono opportunità per ampliare la propria influenza, sia in Siria sia in Libia. Erdogan cercherà certamente di rafforzare la propria posizione, ma dovrà agire con prudenza, perché gli Stati Uniti non vogliono sostituire Putin con un nuovo attore egemone nella regione. Washington vuole invece un Medio Oriente stabile, alleato e compatto, indispensabile per contenere la Cina.

Quali sono le principali differenze nella gestione della politica mediorientale tra l’amministrazione Trump e quella Biden?
Le differenze tra le due amministrazioni sono profonde e decisive. L’amministrazione Biden ha appoggiato politiche orientate verso l’islam politico, sia nella sua variante radicale sia in quella cosiddetta riformista. Tale approccio puntava ad avere in Medio Oriente una forza politica influente che potesse garantire gli interessi americani senza un intervento militare permanente. Tuttavia, questo sostegno si è rivelato problematico: ambedue le forme dell’islam politico non si sono dimostrate compatibili con sistemi democratici e pluralisti, favorendo invece settarismo e separatismo. Trump, invece, è orientato verso un paradigma laico-secolare per il Medio Oriente: unità e stabilità nella regione sono la condizione necessaria per affrontare la Cina a livello globale.