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Cristiani a Betlemme, c’è anche chi ritorna

molti cristiani sono emigrati in cerca di un futuro migliore, ma c’è chi sceglie di restare o di ritornare. Le storie di Eliana, Georgette e Noura, che dopo aver “assaporato la libertà in Italia” hanno deciso di rientrare nella loro città natale per costruire una famiglia: “Non vogliamo che la Terra Santa rimanga priva di cristiani”. L’importanza dei pellegrini, “segno di speranza in un futuro migliore”

“Viviamo in una prigione a cielo aperto, con tante difficoltà e nonostante tutto siamo felici di stare a Betlemme”. Parole pensate, ponderate, anche alla luce di una fede cristiana mai ostentata ma radicata nella terra dove Gesù è nato. Eliana, Samiran, Georgette, Jack, Stephanie e Noura sono alcuni membri della comunità cristiana betlemita che nei giorni scorsi hanno incontrato un gruppo di pellegrini (laici, religiose e sacerdoti) delle diocesi di Milano, Trento, Brescia, Tortona, Piacenza e Novara, guidati da Adriana Sigilli (Diomira Travel). Un pellegrinaggio giubilare, promosso per esprimere vicinanza spirituale e solidarietà concreta alla comunità cristiana locale, e proprio per questo ricco di incontri con le ‘pietre vive’ di questa Terra tormentata. Nelle loro storie si ritrova il messaggio che il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa ha lanciato  durante la Messa di Mezzanotte nel Natale scorso, a Betlemme: “Credere o lasciare, abitare questa nostra terra e vivere questa nostra storia o andarcene per la nostra strada… Fare delle nostre famiglie e delle nostre comunità le culle del futuro di giustizia e di pace, che è già iniziato con la venuta del Principe della Pace”. Scelte significative specialmente se assunte in un contesto come quello attuale della Terra Santa.

Una scelta pensata. Molti cristiani a Betlemme e in altre località della Cisgiordania sono emigrati per cercare un futuro migliore altrove, altri come Eliana, Georgette e Noura hanno scelto di ritornare dopo un’esperienza di studio in Italia. “È stata una decisione pensata, meditata a lungo. Tante famiglie cristiane hanno lasciato e stanno lasciando la Terra Santa; io ho deciso di fare il percorso inverso: ritornare. La Terra Santa non può restare senza i cristiani”.

Betlemme, Eliana (foto Sir)

Una scelta che queste donne, tutte sposate e qualcuna con figli in arrivo, stanno soffrendo sulla loro pelle. Ma senza disperarsi, anzi, mettendo in campo coraggio e resilienza. Racconta Eliana: “Sono felice di essere nata a Betlemme, nonostante le difficoltà che sopportiamo giornalmente”.

“Quella che viviamo è una Croce pesante ma sento come una missione continuare a vivere qui nella certezza che il Padre non abbandona i suoi figli”.

Dopo l’epidemia di Covid e adesso con la guerra in corso a Gaza, scoppiata in seguito al 7 ottobre 2023, la vita a Betlemme e in Cisgiordania è diventata ancora più difficile per la mancanza di lavoro, “l’esercito israeliano ha tolto i visti di lavoro ai palestinesi che andavano a lavorare in Israele”, e di sicurezza. Eliana finché ha potuto ogni mattina partiva da Betlemme per andare a Gerusalemme a lavorare: “Nella città santa gestivo le prenotazioni per le case di ospitalità della Custodia di Terra Santa, ‘Casanova’ di Betlemme e Nazaret-. Per questo ogni giorno dovevo attraversare i check point israeliani. E non è una cosa semplice per una donna. Nei check point prima del 7 ottobre passavano migliaia di lavoratori pronti a sgomitare per arrivare il prima possibile a lavoro e dunque poco propensi alla cortesia. Vivere qui è difficile spesso bisogna industriarsi per arrivare a fine mese, magari fare due o tre lavori. I salari a Betlemme sono molto più bassi che a Gerusalemme, il costo della vita è alto. Comprare una casa è quasi impossibile, tutti qui hanno mutui o prestiti da pagare e questa è la realtà. Ma ci siamo rimboccati le maniche e cerchiamo di andare avanti dando la nostra testimonianza cristiana”.

Il futuro dei figli. Il pensiero per il futuro dei figli accompagna queste donne: “Non vorrei che con la guerra a Gaza e gli scontri in diverse zone della Cisgiordania le mie figlie debbano vivere ciò che ho passato io” racconta Eliana che non nega di aver pensato a lasciare la Terra Santa anche se “solo per qualche tempo. Avevamo pensato di trasferirci in Italia per tranquillizzare le bambine ma poiché l’Italia non riconosce la Palestina come Stato non siamo riusciti ad ottenere un visto diverso da quello per studio o per turismo. Come palestinesi non rientriamo nei flussi. Forse – dice – è un segno per restare in questa terra”. Ma serve aiuto. Quello della Chiesa locale non manca ma tanto può venire dai pellegrini che ora non ci sono “ma che aspettiamo presto qui da noi”. Non si tratta solo di ritrovare un lavoro, molti cristiani sono impiegati nel settore del turismo religioso, ma anche di vicinanza umana e spirituale.

“Cosa ci aspettiamo dai pellegrini e da chi viene da fuori? Che ci dicano ‘come stai?’. Spesso ci sentiamo soli, lasciati al nostro destino. Stare con noi, parlare con noi, è un regalo grandissimo che ci ripaga di tante sofferenze. Sentiamo che c’è qualcuno che ci pensa”.

Betlemme, Samiran (Foto Sir)

È dello stesso avviso Samiran, 18 anni di lavoro trascorsi a fare la cuoca all’Università di Betlemme dei fratelli delle scuole cristiane, poi due anni fa un cancro al seno la obbliga a lasciare tutto per curarsi. Oggi sta meglio e ci tiene a ribadire: “A Betlemme cerchiamo di essere forti per i nostri figli e i nostri nipoti così che possano vivere una vita migliore di quella che abbiamo vissuto noi. Ma sempre a Betlemme”. Georgette, come Eliana, ha studiato in Italia, poi la scelta di tornare per formare una famiglia. Una scelta “coraggiosa” quella di tornare, spiega, “dopo aver assaporato la libertà in Italia”. Georgette è in dolce attesa, “la principessa nascerà a marzo” dice con un sorriso. Anche Stephanie è incinta. La paura della guerra è sempre presente nelle due donne ma queste nascite sono “un segno di speranza e motivo di coraggio per andare avanti con fiducia”. “Qui a Betlemme non c’è una famiglia cristiana che non sia stata toccata dalla guerra sotto ogni punto di vista, affettivo, lavorativo, sociale. Ma – aggiunge Georgette – il nostro cuore si rallegra quando incontriamo i pellegrini nelle nostre strade. Sono un segno di speranza per noi, vedendoli pensiamo che non siamo soli e che un futuro dignitoso è possibile anche per noi qui. Chi vive qui in Terra Santa trae coraggio e speranza dalla loro presenza”.Betlemme, Georgette (sx) e Noura (Foto SIR)Betlemme, Stephanie (Foto SIR)Betlemme, Jack (Foto SIR)

Non restare ancorati al presente. Jack, padre di due bambini, ha visto la prima e la seconda intifada, ma, precisa, “non abbiamo mai vissuto un periodo come quello attuale”. Il suo è un invito a guardare avanti, “non dobbiamo restare ancorati al presente ma pensare al futuro dei nostri figli. È importante che i pellegrini vengano qui per vedere la verità con i loro occhi. E una volta tornati a casa raccontare quello che hanno visto. Senza pellegrini e senza l’aiuto della comunità cristiana sarà difficile restare qui”. Dall’Italia a Betlemme, stesso percorso di Eliana e Georgette anche per Noura. Amante del Bel Paese, “Milano, Perugia, Roma ma Firenze è la più bella di tutte”, oggi lavora, anche se solo per poche ore in una scuola della Custodia a Gerusalemme. Nel suo racconto la storia di “tanti progetti, tanti sogni e poi la solita ‘sorpresa’, una guerra o qualcosa di simile, che viene a cancellare tutto. Ma non smettiamo di sperare specialmente quando vediamo i pellegrini arrivare. Quella speranza che ci aiuta ogni giorno ad attraversare il check point israeliano per andare a lavoro, a superare l’attesa snervante in fila, a ‘timbrare’ l’uscita da Betlemme e il rientro alla sera” nella ‘prigione a cielo aperto’.