Associazioni e movimenti

Giornata per la vita, una risposta alla cultura dello scarto

«Trasmettere la vita, speranza per il mondo», il tema della 47/ma edizione

Giornata per la Vita - Marina Casini Bandini, presidente Mpv (Foto archivio)

Lo scorso numero di Toscana Oggi (26 gennaio) ha dedicato ampio spazio, con gli articoli di Leonardo Bianchi e Simone Pitossi, alla proposta di legge toscana sul suicidio assistito, illustrandone l’iter, il contenuto, le gravi scorrettezze giuridiche, le forzature e le pressioni che da tempo giungono alle Regioni affinché aprano la strada al cosiddetto «diritto alla morte volontaria assistita». A quel numero si rinvia per gli approfondimenti del caso.

Adesso l’attenzione si sposta sull’imminente 47ª Giornata per la vita, che si celebra domenica 2 febbraio. Il tema quest’anno è «Trasmettere la vita, speranza per il mondo». In che modo la Giornata per la vita può illuminare il giudizio su un articolato di disposizioni che giustamente è ritenuto gravemente sbagliato non solo sotto un profilo antropologico, ma anche da un punto di vista giuridico e del rapporto Stato-Regioni in ordine alle competenze legislative?

Va chiarito in premessa che il giudizio non cade sulle persone, ma sulla cultura, sulla mentalità, sulle norme, appunto. La persona di fronte all’ineluttabilità della malattia, soprattutto se cronica e degenerativa, va sempre compresa e accolta. La presenza della malattia e/o della grave invalidità è spesso accompagnata da sconforto, paura, stanchezza, esasperazione, senso di solitudine che talvolta investono anche i familiari. Chi vive queste situazioni va accolto e confortato. Non c’è spazio qui per il giudizio, ma solo per l’amore.

Il discorso è diverso quando la riflessione si porta su quella mentalità che papa Francesco ben ha definito «dello scarto», alimentata anche dal cosiddetto «diritto alla morte volontaria assistita», alla cui base – culturalmente parlando – c’è l’idea che quando la malattia prende il sopravvento, portando via un po’ alla volta facoltà, funzioni e capacità fino a inchiodare al letto, la vita non ha più senso. E qui entrano in scena tutte quelle parole e quelle espressioni – qualità della vita, dignità, persona – in sé pertinenti alla custodia e alla cura, ma che, usate in chiave discriminatoria, giustificano la richiesta di morte. Più questa mentalità si diffonde, anche e soprattutto attraverso le leggi, diventando aria che si respira, più è forte la deresponsabilizzazione della società a farsi carico dei malati gravi, specialmente se la malattia è inguaribile, e più è forte la spinta a sentirsi un peso per gli altri e quasi «incoraggiati», dunque, ad andarsene. Se a ciò si aggiungono le comprensibili difficoltà di vario tipo che una malattia porta con sé, il suicidio assistito, ma anche l’eutanasia, si presentano come una via d’uscita.

Ma in tutto questo c’è un grande inganno. La persona smette di essere persona e scade a un livello inferiore quando la malattia la priva di autonomia e/o smobilita la dimensione cognitiva? La qualità della vita coincide con la dignità della vita o la dignità della vita è il presupposto della qualità della vita? Si può accettare l’idea che l’esistenza umana ha un valore diverso – maggiore, minore, nullo – a seconda delle condizioni e delle circostanze in cui si trova? Proprio in questi giorni è stato condiviso nella rete «Amici di Carlo Casini» questo pensiero dello stesso Carlo Casini tratto da La Discussione del 9 febbraio 1991 (p. 17): «La sofferenza è certamente, specie se innocente, l’aspetto più contraddittorio, più razionalmente inesplicabile della nostra condizione umana. Non conosco ragionamenti che la rendano comprensibile. È un mistero che può essere illuminato soltanto da un altro mistero: l’amore, appunto, che ci è rivelato da Cristo, non con i libri di filosofia, ma con la sua croce. […] Se la dignità umana inerisce all’esistenza e non dipende dagli attributi di questa, da possessi di cose o qualità (ricchezze, salute, bellezza, ecc.), essa rifulge in modo particolare e suscita le più profonde meditazioni quando è nuda e solitaria, priva, cioè, di ogni elemento a cui la nostra materialistica cultura dell’avere attribuisce importanza».

Ma poi: c’è davvero bisogno di aprire la strada del soccorso al suicidio per le persone malate? Può essere questa la vera risposta che le persone e le famiglie si attendono quando vengono colpite dalla malattia con i suoi tratti dolorosi e faticosi? È chiaro: a un certo punto si deve accettare il limite della morte come parte della condizione umana, ma prendere atto dell’impossibilità di guarire è motivo per anticipare deliberatamente la fine della vita? È l’aiuto al suicidio ciò che una società civile è tenuta a garantire ai malati e alle loro famiglie?

E qui viene il senso della Giornata per la vita che, proprio perché voluta come espressione di non rassegnazione nei confronti della mentalità dello scarto che colpisce i più poveri dei poveri, come Madre Teresa chiamava i bambini non ancora nati, chiarisce in maniera più profonda il significato della dignità di tutta la vita umana, ci pone nella prospettiva in cui si illumina tutto il panorama dell’umano, la società, le relazioni tra gli uomini, la struttura del vivere insieme.

Quest’anno il tema della giornata è incentrato sulla speranza. Quale speranza siamo tenuti a offrire ai malati? Non quella illusoria di riuscire a sconfiggere una malattia che verosimilmente non scomparirà, ma quella della certezza concreta e tangibile, di una prossimità che assicura la cura fino alla fine: «guarire se possibile, aver cura sempre». Inguaribile non coincide con «incurabile». Lo sguardo d’amore che riconosce la dignità, che mai si perde e che nessuna malattia può azzerare, non riduce la cura alla capacità di guarire l’ammalato, ma amplia la nozione di cura alla presa in carico in un orizzonte antropologico e morale più ampio, quello di una continuità assistenziale, tenendo conto di tutta la persona, cui va garantito tutto ciò di cui ha bisogno: supporto fisico, sollievo dal dolore, risposta alle necessità emotive, assistenza psicologica, responsabilità sociale nei confronti della vulnerabilità, vicinanza affettiva e familiare, conforto religioso. Per questo, di fronte a una guarigione improbabile o impossibile, trascurare l’accompagnamento medico-infermieristico, psicologico e spirituale, è venir meno a un dovere ineludibile e comporta un disumano abbandono del malato. Le cure palliative, in questa prospettiva, sono uno strumento prezioso e irrinunciabile, l’espressione più autentica del compassionevole «stare» accanto a chi soffre. È questa la dimensione da implementare.

«Siamo sicuri – si chiedevano i vescovi nel messaggio per la vita di due anni fa – che il suicidio assistito o l’eutanasia rispettino fino in fondo la libertà di chi sceglie – spesso sfinito dalla carenza di cure e relazioni – e manifestino vero e responsabile affetto da parte di chi li accompagna a morire?».

La morte provocata è una sconfitta, perché significa sottrarre se stessi o sottrarre l’altro alla relazione che ci caratterizza strutturalmente; significa rifiutare e recidere il legame di fratellanza che è il timbro della nostra umanità. Certamente, la morte – insieme all’uguale dignità di ogni vita umana – è il nostro comune denominatore, e dunque va accettata e accolta, ma cagionarla e sceglierla è tutta un’altra cosa: sono due piani, due logiche, due prospettive completamente diverse. Ma anche laddove la tentazione di trovare una via di uscita nella morte dovesse prendere il sopravvento, la misericordia non deve mai venire meno: quella situazione, quella tentazione, è un appello a tutta la società affinché prevenga situazioni di abbandono, disperazione, solitudine mettendo in campo tutte le risorse della solidarietà e della condivisione per vita e per la cura.

Che la Toscana, con la sua ricchissima storia e i suoi splendori artistici e paesaggistici, con l’orgoglio di essere stata il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte, culla dell’umanesimo, non si renda fautrice di una medicina disumana, perché la morte cagionata di uno è una disfatta per tutti.

*presidente Mpv