Firenze
“Te Deum”, Gambelli: “Grazie a chi semina speranza”
Le parole dell'arcivescovo di Firenze nella cattedrale di Santa Maria del Fiore

“Lasciamoci contagiare dalla gioia di quelle persone che attraverso gesti coraggiosi di carità seminano pace e speranza nel mondo”. Sono le parole dell’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli che oggi, nel tradizionale “Te Deum” di fine anno in cattedrale, ha fatto un bilancio dell’anno che si conclude citando i tanti problemi, dalle guerre alla povertà alle morti sul lavoro, ma anche ringraziando chi si impegna per gli altri. Tra gli altri, ha citato i missionari “fidei donum” della Chiesa fiorentina nel mondo. Un rigranziamento anche alla Caritas, a strutture come Villa Lorenzi che in 36 anni di attività ha salvato 1.300 ragazzi dalla strada, all’Opera Madonnina del Grappa che ha da poco compiuto cento anni. Riferendosi ai morti sul lavoro, in particolare quelli del Cantiere Esselunga di Via Mariti e dello stabilimento Eni di Calenzano, ha chiesto “una mobilitazione delle coscienze e un’assunzione di responsabilità collettiva” e ha ringraziato “per quegli imprenditori che si impegnano a difendere e tutelare i loro dipendenti”. Un saluto poi “ai detenuti, in particolare a quelli della casa circondariale di Sollicciano che sperimentano la durezza della reclusione e della solitudine” con il ringraziamento a operatori e volontari che operano nel carcere. Infine un riferimento al Giubileo, con l’invito a nutrire la speranza con la carità.
Ecco il testo integrale dell’omelia.
Il testo della Lettera ai Galati sul quale siamo invitati a riflettere questa sera ci esorta a inserire il nostro Te Deum di ringraziamento, a conclusione dell’anno civile, all’interno di quella benedizione più ampia al Padre per il dono del Figlio e dello Spirito Santo. Per aiutarci a cogliere la novità e la bellezza della venuta di Gesù nel mondo, che ci consente di passare dalla legge al vangelo, San Paolo fa ricorso all’immagine di un testamento. Leggiamo all’inizio del capitolo 4 della lettera ai Galati: “Per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, benché sia padrone di tutto, ma dipende da tutori e amministratori fino al termine prestabilito dal padre”. Un soggetto entra in possesso di beni legittimamente ereditati, solo al raggiungimento della maggiore età. Prima di questo momento, dice San Paolo uscendo dalla metafora, la legge è necessaria. Giunge poi il raggiungimento dell’età in cui il soggetto può diventare l’erede legittimo. Questo tempo è arrivato in Gesù Cristo che ci invita ad accogliere la giustizia non più come risultato dell’osservanza della legge, ma come frutto dell’obbedienza della fede. La figura di Maria, evocata nell’espressione “nato da donna” ci viene presentata come modello del discepolo chiamato ancora oggi a generare Gesù nel mondo: “Chi è mia madre chi sono i miei fratelli? Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”. La nostra nuova identità di figli adottivi si manifesta proprio in quella libertà che cresce paradossalmente nella capacità di mettersi a servizio. “Voi infatti, fratelli siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13).
L’anno 2024 che sta per chiudersi è stato caratterizzato purtroppo ancora una volta da vecchi e nuovi conflitti. Le organizzazioni internazionali contano almeno 56 conflitti in atto nel mondo, sparsi in tutti i continenti. Le guerre, inoltre, si sommano ai disastri climatici sempre più frequenti provocando una vera e propria emergenza globale: secondo l’Onu, oltre 120 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case diventando sfollati. Il mandato agli operatori pastorali che abbiamo voluto celebrare quest’anno il 29 settembre nella giornata mondiale del migrante e del rifugiato è stata per noi un’occasione ulteriore per prendere coscienza dell’ampiezza del problema e per lasciarci interpellare dalla sfida dell’accoglienza.
Ringraziamo il Signore per tante persone che in vari parti del mondo sono vicine a chi soffre a causa delle ingiustizie del mondo. Penso in modo particolare ai preti fidei donum della nostra Arcidiocesi, ai quali rivolgo un pensiero e un saluto particolare: don Marco Paglicci e don Tiziano Scaccabarozzi in Brasile, don Leonardo Mazzei in Perù. Insieme a loro ricordo anche P. Alessandro Bedin, missionario comboniano, da poco rientrato in Sudan in mezzo a un conflitto che sta provocando numerosissime vittime e sfollati.
Il rapporto 2024 sulle povertà nella Diocesi di Firenze, a cura dell’osservatorio delle Povertà e delle Risorse della nostra Caritas in collaborazione con l’Università di Firenze, ha messo in rilievo insieme all’emergenza abitativa, la sfida urgente della povertà educativa. In Toscana oltre il 13,8% dei giovani fra i 15 e i 29 anni non studiano e non lavorano, né partecipano ad attività di formazione. Grazie a Dio, anche in questa situazione difficile non mancano dei buoni samaritani che, vincendo la tentazione dell’indifferenza, si fanno prossimi dei giovani e si prendono cura di loro. Penso in modo particolare al progetto Villa Lorenzi che in 36 anni di attività ha salvato 1.300 ragazzi dalla strada, aiutandoli a dare risposte al loro disagio, sia a livello di prevenzione che di recupero e valorizzazione di risorse personali. Penso anche al servizio e all’impegno in questo stesso campo dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa, di cui abbiamo da poco celebrato il centenario della fondazione.
L’anno 2024 è stato tristemente segnato da numerosi incidenti sul lavoro, in modo particolare quelli del Cantiere Esselunga di Via Mariti e dello stabilimento Eni di Calenzano. Il modo migliore per ricordare le vittime e i feriti è quello di un impegno sempre più attento attraverso una mobilitazione delle coscienze e un’assunzione di responsabilità collettiva, perché siano garantite tutte le condizioni per un lavoro sicuro, nel rispetto della dignità delle persone. Mentre ringraziamo il Signore per quegli imprenditori che si impegnano a difendere e tutelare i loro dipendenti, esprimo ancora la mia vicinanza a quanti hanno perso il lavoro e chiedono il riconoscimento dei loro diritti, in particolare quello del pagamento degli stipendi. Come ci ricorda Papa Francesco: “Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro” (FT 162).
Desidero rivolgere un pensiero e un saluto ai detenuti, in particolare a quelli della casa circondariale di Sollicciano che sperimentano la durezza della reclusione e della solitudine. Queste ultime, come sappiamo, si fanno più acute durante i giorni di festa. Nel ringraziare il Signore per tutti coloro che operano con responsabilità nel carcere come dipendenti o come volontari, invito tutti a pregare per questi nostri fratelli e sorelle perché le loro pene possano davvero tendere alla rieducazione e al loro reinserimento nella società. Un piccolo segno di speranza è rappresentato da quei progetti per la creazione di strutture che offrano un domicilio per misure alternative alla detenzione.
Il Giubileo che abbiamo da poco iniziato è un’occasione importante per accogliere la grazia della misericordia di Dio e vivere come pellegrini di speranza nel nostro mondo. Nella tradizione ebraica il Giubileo era il momento in cui i membri del popolo d’Israele erano invitati a compiere il gesto coraggioso della remissione dei debiti. Si trattava di un atto antiidolatrico per vivere l’obbedienza alla parola del Signore nel libro del Levitico: “Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lev 25,23). La speranza si fonda sulla fede, ma poi è nutrita dalla carità. “Se vuoi la pace, prepara la pace” diceva un profeta dei nostri tempi. Lasciamoci contagiare dalla gioia di quelle persone che attraverso gesti coraggiosi di carità seminano pace e speranza nel mondo e insieme a Maria, madre di Dio e madre nostra, cantiamo il Magnificat, perché come lei sappiamo dire il nostro sì al Signore. Grandi cose ancora oggi Egli desidera compiere, guardando all’umiltà dei suoi servi.