Cultura & Società
Arte sacra: pastori e magi nella Natività del Beccafumi
La tavola, oggi esposta nel Museo diocesano di Spoleto, fu dipinta per la chiesa di Santa Maria Assunta in Montesanto di Sellano (Perugia) negli anni quaranta del Cinquecento
Il nostro percorso per immagini verso il Natale si chiude con una piccola pala d’altare, formalmente eccentrica e teologicamente articolata, in cui la nascita di Gesù viene evocata in primo piano, mentre nel fondo – defilati, ma certo non accessorî – sono rappresentati l’annuncio dell’angelo ai pastori e il viaggio dei magi. L’artefice dell’opera, oggi esposta nel Museo diocesano di Spoleto, è il senese Domenico Beccafumi, figura di spicco della «maniera moderna» italiana. La tavola fu dipinta per la chiesa di Santa Maria Assunta in Montesanto di Sellano negli anni quaranta del Cinquecento.
Anche a una prima osservazione di questa Natività ci s’avvedrà d’un dettaglio non poi usuale: il Bambino non guarda, come di norma càpita, la Madre; allaccia bensì una stretta relazione di sguardi col Padre terreno, attribuendo per conseguenza a lui un ruolo di riguardo nella composizione generale. La ragione di questa scelta sta nella primitiva collocazione della pala, che fu eseguita per l’altare della Confraternita dei falegnami nella chiesa di Santa Maria Assunta, dedicato appunto a san Giuseppe.
A meritare però un commento circostanziato è segnatamente la raffigurazione concomitante dell’annuncio ai pastori e del viaggio dei magi: episodi distinti, raccontati nei loro Vangeli da Luca e Matteo. Il primo descrive l’annuncio ai pastori e la loro conseguente adorazione, il secondo tramanda la notizia del viaggio dei magi e del loro incontro con l’Emmanuele. Due narrazioni che hanno protagonisti differenti, giacché nel primo si celebra il rapporto di Gesù col suo popolo, mentre nel secondo quello di Lui col popolo straniero. Ed è una distinzione su cui sant’Agostino insiste, definendo il Natale «festa dei Giudei» e l’Epifania «festa dei pagani».
Il quesito che si pone riguarda il motivo per cui il Beccafumi (ovviamente insieme al teologo che gli sarà stato affiancato dai committenti) dipinge i due episodi in un’unica tavola, evocandoli entrambi nel paesaggio che fa da fondale alla Natività, divisi dal tronco che regge il tetto posticcio, d’erbe seccate, messo a coprire il rudere dove la Famiglia ha trovato riparo. Nello squarcio di luce che s’apre nel fondo della capanna si scorgono sulla cresta d’un colle due pastori seduti sui gibbi d’un prato. E nell’alto del cielo un angelo circonfuso di luce plana verso di loro irraggiandoli con fasci luminosi. Sulla destra, come fosse su un’altra quinta, si vede arrivare, con passo di trotto sotto la stella, il corteo dei magi, ormai nei pressi del luogo della nascita. È una fase del viaggio, insomma; non il momento dell’adorazione del Bimbo.
La concomitanza dei due accadimenti trova nel pensiero di sant’Agostino una premessa autorevole. Dice infatti in un’omelia sull’Epifania di Gesù: «Il Signore si è manifestato, il giorno stesso della sua nascita, ai pastori avvertiti da un angelo. Nel medesimo giorno fu annunziato anche ai magi tramite una stella […] I pastori erano israeliti, i magi pagani; quelli venivano da vicino, questi da lontano […] Egli infatti è la nostra pace, colui che ha unito i due in un solo popolo». Con la manifestazione ai magi si realizza l’universalità della chiamata, ch’è tema fondamentale nel pensiero d’Agostino. E proprio a questo concetto pare ispirarsi il Beccafumi nella pala, quando nell’unico sfondo della sua Natività dipinge, a sinistra, l’angelo che nel fulgore della luce avverte i pastori seduti e, a destra, la stella cometa che icastica si stampa nel cielo facendosi guida sicura per il corteo dei magi.
Di nuovo però ci si chiederà perché il Beccafumi sia stato incaricato di rappresentare non la consueta adorazione dei magi, ma il loro viaggio per giungere sul luogo della nascita del Signore. E anche stavolta una risposta ci viene dall’esegesi d’Agostino, che, da appassionato cultore dell’universalità della chiamata, chiosa molte volte il passo di Matteo che descrive l’epifania del Signore. Così dice in un’omelia: «Oggi bisogna parlare dei magi che la fede ha condotto a Cristo da terre lontane. Vennero e lo cercarono dicendo: Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo. Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione». Ecco che il viaggio compiuto dai magi, che da pagani partono da lontano per trovare il nuovo re, si fa figura del tragitto della fede per ognuno di noi. È la grazia della fede a spingere i magi e gli uomini del seguito a lasciare le loro terre: partono senza sapere dove la stella li condurrà. Ed è lo stesso percorso che tocca a chiunque sia in cerca della fede. È un viaggio lungo che procede per tappe, da cui non sono escluse la solitudine del dubbio e la necessità di ricorrere a chi possa essere d’aiuto.
Osservando il percorso dei magi nella pala del Beccafumi ci s’accorgerà poi che sulla destra, nel registro più alto della tavola, c’è un tratto del corteo (appena percepibile) che, dietro l’ultimo crinale, marcia nella direzione contraria a quella degli uomini a cavallo vicini ormai alla capanna. Verrà allora naturale domandarsi se con quel tragitto inverso non si voglia alludere al ritorno in oriente dei magi dopo l’adorazione del Bambino. Ritorno che, appunto, prese una via differente da quella dell’andata per non tornare da Erode e dargli le informazioni che lui aveva loro chieste per compiere il suo disegno malvagio. Dice Matteo che i magi: «avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». E sant’Agostino commenta: anche noi «che abbiamo conosciuto il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo lo dobbiamo testimoniare qui in terra, in modo da non ripassare per la via per la quale siamo venuti e da non ricalcare le orme del nostro anteriore modo di vivere. A questo vuole alludere il fatto che i magi non ritornarono indietro per la stessa strada che avevano percorso nel venire. Cambiando la via è cambiata anche la vita». E Agostino conclude con l’invito a «testimoniarlo prendendo una nuova via, ritornando da una via diversa da quella per la quale siamo venuti».
(4-fine)