Cultura & Società
Umberto Santarelli, il professore innamorato del giornalismo
S‘intitola «Un professore innamorato del giornalismo. Articoli di Umberto Santarelli dal 1965 al 2012» il volume pubblicato da Edizioni Toscana Oggi che viene presentato questo sabato 30 novembre (ore 11) presso «la Stanza delle Laudi» a Firenze. L'introduzione di Grasso, direttore dell’ufficio stampa della presidenza della Repubblica italiana
S‘intitola «Un professore innamorato del giornalismo. Articoli di Umberto Santarelli dal 1965 al 2012» il volume pubblicato da Edizioni Toscana Oggi (pagine 736, euro 25) che viene presentato questo sabato 30 novembre (ore 11) presso «la Stanza delle Laudi» a Firenze (via Antonio Giacomini, 3). Intervengono Giovanni Grasso, direttore dell’ufficio stampa della presidenza della Repubblica italiana, che firma l’introduzione al libro (che qui riportiamo inegralmente), Domenico Mugnaini, direttore di Toscana Oggi, e Stefano Santarelli, figlio di Umberto.
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È opera importante e meritoria ripubblicare in un unico volume gli scritti giornalistici di Umberto Santarelli che, accanto alla pregevole produzione scientifica, restituiscono a tutto tondo la personalità e il pensiero di una importante figura di intellettuale cattolico, appassionato di politica e dedito, per tutta la sua esistenza, alla ricerca del bene comune.
Ho parlato di «scritti giornalistici», perché questo volume raccoglie il frutto della lunga collaborazione di Santarelli come autorevole editorialista di diverse testate, locali e nazionali. E anche perché – nonostante per ragioni editoriali questo libro sia diviso in due sezioni, «scritti politici» e «scritti giuridici» – diventa difficile nella maggior parte dei casi distinguere con nettezza il confine tra lo studioso rigoroso e il militante appassionato. Passione e rigore, insieme: uno splendido ossimoro, che costituisce la cifra distintiva di Umberto Santarelli.
La militanza di Umberto Santarelli è quanto di più distante dal concetto di faziosità o di partigianeria. L’appartenenza radicata e dichiarata a una delle più feconde culture politiche del Novecento – il «cattolicesimo democratico» – si coniuga naturalmente alla predisposizione al dialogo, all’equilibrio, alla capacità empatica di farsi carico delle ragioni degli altri, all’attitudine a coltivare il dubbio come metodo e a porre le proprie idee in continua discussione, senza mai rinunciarvi. Doti, queste, che molto rimpiangiamo, specie guardando al panorama odierno di commentatori politici, che, in televisione o altrove, sembrano rivendicare per sé stessi il ruolo esclusivo di portatori di verità assolute quanto effimere.
Leggendo, con grande interesse, gli editoriali e i commenti che costituiscono questo volume, mi è venuta immediatamente in mente una frase di Gaetano Salvemini, autore ben conosciuto e rispettato dal professor Santarelli, quando – nella prefazione al suo Mussolini diplomatico (1932) – scrive: «Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere».
L’identità cattolico-democratica di cui Santarelli è intriso, si potrebbe dire, sino al midollo, succhiata fin da piccolo in famiglia, e rappresenta l’antidoto a ogni forma di intolleranza, di manicheismo, di integralismo, di faziosità, che sono da sempre i nemici della convivenza e della democrazia. L’appartenenza orgogliosa a un ben delineato filone culturale e politico, nel nostro autore, corroborata dallo studio approfondito e interiorizzato della storia del diritto, non scade mai nella tifoseria, nella logica perversa dell’appartenenza e della rivendicazione identitaria; ma, a ben vedere, diventa, grazie all’onestà intellettuale, essa stessa limite consapevole a una visione malata della politica – e del mondo – che degenera in una lotta all’ultimo sangue tra il bene e il male tra eserciti irriducibilmente nemici e che ha come corollario l’annullamento di ogni distinzione tra la parte (il partito, la fede religiosa, la classe) e il tutto (lo Stato), che è invece la casa comune, capace di pacificare, integrare e comporre.
Fedele alla lettera e allo spirito della Costituzione repubblicana, Santarelli non impone, propone. Non lancia anatemi, ma si sforza di comprendere, non prima di aver compiuto una disamina attenta e spassionata dei pro e dei contro di ogni azione o decisione. Risulta sempre lucido, razionale, equilibrato, mai settario. Guarda sempre al bene della comunità e non al vantaggio della sua parte. È costantemente animato da quel «buonsenso» che il Manzoni, molto amato da Santarelli, contrappone al «senso comune», consegnando ai posteri una delle migliori analisi dei danni nefasti del populismo.
Impressiona, negli articoli di Santarelli, la vastità dei temi trattati (dal terrorismo alla mafia, dal dibattito sulle riforme istituzionali a quello sulla crisi della rappresentanza e della democrazia, alla politica estera, fino alle sfide dell’immigrazione, dello sviluppo, dei temi eticamente sensibili) e il garbo, la chiarezza e la competenza con cui vengono commentati, senza mai trasudare supponenza o arroganza. Molti di essi sorprendono per la loro attualità, generando l’amara consapevolezza che – anche nella mutate condizioni sociali e politiche della cosiddetta Seconda Repubblica – l’Italia debba tornare costantemente ai blocchi di partenza, per fare i conti con temi e problemi di fondo irrisolti, che Santarelli aveva con sagacia individuato e analizzato.
Guardandoli in filigrana, nella loro totalità, questi scritti d’occasione, destinati alla pubblicazione giornalistica, disegnano una storia del nostro Paese, descritta da un punto di vista sempre autorevole, lucido e originale. Un cenno merita anche lo stile di Santarelli, molto «toscano»: incisivo, icastico, ironico ed estremamente godibile.
Tra i tanti qui pubblicati, tutti di estremo interesse, mi ha particolarmente colpito un articolo del luglio 1988, (pag. 588 e seguenti) dedicato non all’attualità politica, ma a un doloroso episodio di vita religiosa, lo scisma di monsignor Lefebvre. In quello scritto Santarelli ammonisce a non confondere la Tradizione, intesa come rivelazione divina e magistero della Chiesa, con la «consuetudine», difesa dai sedicenti e cipigliosi «tradizionalisti». I quali, scrive l’autore, sono portati a scambiare «i propri capricci con la volontà di Dio» e a «contrabbandare per amore alla Chiesa l’attaccamento ai ricordi di infanzia e di famiglia», giungendo al punto di essere «così nostalgici di tutto ciò che la storia ha condannato da secoli e così ammirati di tiranni sanguinari come Pinochet o di personaggi come Le Pen, con la scusa vecchia e stantia che si tratterebbe d’intrepidi «difensori della vera fede» e di tutori della Santa Chiesa».
Nei tempi attuali in cui il messaggio cristiano viene nuovamente brandito come una spada, non per liberare l’uomo, ma per sottometterlo e in cui la fede viene continuamente strumentalizzata per giochi di potere o, peggio, di dominio e di guerra, la luminosa lezione di dialogo e moderazione del cattolico democratico Umberto Santarelli acquista lo spessore di un’autentica visione profetica.
*direttore dell’ufficio stampa della presidenza della Repubblica italiana