Vita Chiesa
Assemblea sinodale: Lojudice, “Chiesa che parla a tutti”
La Chiesa italiana verso la prima assemblea sinodale: dal cardinale Lojudice, presidente dei vescovi toscani, l’invito a portare avanti il cammino di riforma missionaria
Il Cammino sinodale delle Chiese italiane si avvicina a un momento importante, con la prima delle due assemblee sinodali nazionali che dal 15 al 17 novembre vedrà riuniti a Roma i delegati di tutte le diocesi. Dopo la fase dell’ascolto e quella del discernimento, si entra così nella fase «profetica». Verranno discussi i Lineamenti che sintetizzano il lavoro svolto in questi anni, per offrire poi indicazioni pratiche e proposte operative su come annunciare Gesù nell’Italia di oggi.
Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, oltre a guidare due diocesi (è arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa – Montalcino e vescovo di Montepulciano – Chiusi – Pienza) è anche presidente della Conferenza episcopale toscana. Nel Cammino sinodale vede un’occasione importante per rilanciare l’idea di una Chiesa più attenta al mondo e più capace di parlare a tutti.
Possiamo dire che in questi anni la Chiesa italiana ha imparato a conoscere un nuovo stile di Chiesa?
«Secondo me più che imparato lo abbiamo rimesso in moto. Io ho ripetuto in ogni occasione, nelle mie diocesi, che non si trattava di organizzare un convegno ma di un metodo da riattivare, da rimettere in moto e poi da continuare. Perché il Cammino sinodale si concluderà ma non deve finire lo stile sinodale che abbiamo provato a far crescere. Certamente non bastano questi due o tre anni a cambiare la mentalità, a rilanciare l’azione pastorale, ma è un processo che va avanti».
Nei documenti del Cammino sinodale si parla dell’esigenza di una «riforma missionaria» delle comunità cristiane: cosa significa? Come si può concretizzare?
«Non diciamo niente di nuovo, tutto è già in Evangelii Gaudium, il documento che papa Francesco pubblicò pochi mesi dopo la sua elezione e su cui ha impostato tutto il suo pontificato. Lì c’è tutto, c’è l’idea di una riforma missionaria della pastorale: che poi non è un inedito, ne troviamo già l’indicazione anche prima. Mi è capitato per un incontro di fare un parallelo tra il decreto Ad Gentes e l’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, la Redemptoris missio di Giovanni Paolo II, l’Evangelii Gaudium: i contenuti sono quelli. Cambiano i termini, cambia lo stile ma il principio è quello. Il problema è che poi non riusciamo a metterle in pratica certe cose. Secondo me il Papa, ben consapevole di questo, ha voluto ridire a modo suo certe cose, ha voluto insistere ancora. Di “nuova evangelizzazione” ne parlava Giovanni Paolo II: in fondo è questa la linea, la direzione. La Chiesa deve tornare a essere strumento di un annuncio del Vangelo per tutto il mondo».
Forse la prospettiva nuova di papa Francesco è che non si va a portare il Vangelo dove non c’è ma lo si va a cercare, si va nelle periferie sapendo che troveremo lo Spirito santo già in azione.
«Anche questo ce lo dice il catechismo da sempre, lo Spirito Santo vive in ogni persona. Il problema è che noi abbiamo rischiato negli anni, nei decenni di perdere questa consapevolezza, di diventare autocentrati».
Dal Cammino sinodale possono venire proposte operative per ritrovare questo slancio?
«Il Cammino sinodale è stato una bella spinta. Io che sono vescovo di due diocesi ho visto anche le differenze nel modo in cui è stato vissuto: questo significa che molto dipende dalla consapevolezza che si ha. Tra i parroci c’è chi fa più fatica ad accogliere lo stile sinodale, ma lo stesso vale anche per i laici: c’è chi ha trovato giovamento, altri sono rimasti più indifferenti. Poi sappiamo, non lo dico io, lo dicono i pastoralisti, che la figura del parroco oggi è un “collo di bottiglia”, tutto deve passare attraverso di lui».
Il Cammino sinodale forse serve anche a lasciare i preti meno soli
«Assolutamente. I preti non vanno lasciati soli, è un principio su cui tutti conveniamo, che il Cammino sinodale ha riacceso col discorso sui ministeri, sulla corresponsabilità».
Nell’assemblea sinodale si parlerà anche di comunicazione, di nuovi linguaggi da adottare. Quali sono le strade perché la Chiesa sia capace di abitare il tempo di oggi, in dialogo con una società plurale?
«Tutto passa attraverso il linguaggio, il metodo di dialogo. Se si vuol parlare con una persona lontana e non si hanno gli strumenti non si riesce. È una delle sfide più grandi per la Chiesa del nostro tempo, su cui si dovrebbe lavorare di più. Lo diciamo ma nei fatti dobbiamo ancora crescere. La comunicazione virtuale ad esempio è uno spazio che non possiamo trascurare se vogliamo raggiungere i giovani. Dobbiamo entrare nei mondi dove i ragazzi vivono, che siano quello della comunicazione digitale o quello delle scuole».