Il film: “Megalopolis”, appunti dal collasso del mondo occidentale

Dopo quarant'anni di idee, appunti, lavorazioni interrotte e tentativi falliti, il colossale lavoro di Francis Ford Coppola arriva in sala, e si prospetta come il film più divisivo dell'anno

Ci sono voluti quarant’anni a Francis Ford Coppola per completare il suo «Megalopolis»: la lavorazione era cominciata nel 1979 sul set di «Apocalypse Now», il copione è stato riscritto più volte, innumerevoli star sono state coinvolte in una o nell’altra versione, eventi esterni come l’11 settembre o la pandemia hanno interrotto le riprese. Finalmente, Coppola produce di tasca propria il kolossal che ha sognato da così tanto tempo, un film che si presenta come il più divisivo dell’anno, con la critica spaccata tra chi lo considera un capolavoro e chi invece lo vede come un fallimento su tutta la linea.

Il testo di partenza è, a sorpresa, il «De Catilinae coniuratione» di Sallustio, ma in chiave fantascientifica: i personaggi si muovono in una New Rome modellata sulla moderna New York, Catilina è un archistar dalle strane abilità che sogna di usare il materiale da lui scoperto, il Megalon, per costruire una nuova città utopica, mentre Cicerone è il sindaco tradizionalista che si oppone alle sue innovazioni. Ci sono anche Crasso, banchiere che appoggia ora l’una ora l’altra parte col suo patrimonio, e Clodio, aspirante dittatore modellato su Donald Trump.

Stilisticamente, «Megalopolis» è un lavoro totale, una summa dello stile coppoliano, che unisce le ombre cinesi del «Dracula di Bram Stoker» alle ultime sperimentazioni digitali viste con «Distant Vision». È anche, però, un’appassionata dichiarazione d’amore al cinema, che dalla corsa delle bighe di «Ben-Hur» alla divisione in pannelli del «Napoleone» di Abel Gance, fino a una fantascienza divisa tra la squisita artigianalità di Georges Méliès e gli scenari fluidi de «La vita futura» di William Cameron Menzies, raccoglie tutte le stelle fisse del pantheon del Coppola cinefilo.

Il punto di partenza è l’identificazione dell’antica Roma con i moderni Stati Uniti, entrambi fotografati nel momento della crisi repubblicana, due colossi che hanno plasmato un’intera epoca, sul punto di crollare sotto il proprio peso.

La scelta posta a New Rome è binaria: seguire Cicero col suo slogan “Acciaio e cemento”, ignorare i segni dei tempi e continuare a fare le cose come si sono sempre fatte, o tentare il salto nel buio offerto da Catilina, che guarda al futuro anche a scapito del presente (“Non lasciate che l’adesso distrugga il per sempre“, avverte) e indica in una trasformazione radicale l’unica via d’uscita alla crisi.

Il Megalon, in questo senso, è emblema stesso del tempo: un futuro duttile, che si può plasmare sul pensiero di chi lo impugna, risorsa inesauribile che pure è sempre scarsa. L’alternativa, come rappresentato dal satellite nucleare sovietico che, novello Vesuvio, fa piovere fuoco e morte sulla città, è l’ancoraggio a un passato esausto che corrompe e distrugge.

Reso quasi frenetico dall’urgenza dell’appello a un cambio di rotta, Coppola punta all’accumulo, allo stordimento, sia estetico che contenutistico. Il suo impietoso ritratto della Nuova Roma la vede preda di eccessi, ossessione per il gossip, cattivo giornalismo, revanscismi moralistici a braccetto con festini orgiastici, ingiustizie sociali, forbici incolmabili tra ricchi e poveri, uno scenario (pre)apocalittico in cui solo l’utopia, esplicitamente invocata, può salvare dal ciclo di corsi e ricorsi storici, non offrendo soluzioni pronte ma aiutando a porsi le domande giuste.

Non basta una sola visione per sviscerare «Megalopolis», un universo vivo e vibrante di idee, suggestioni, osservazioni che hanno attraversato mezzo secolo. Un capolavoro che parla all’oggi.

MEGALOPOLIS di Francis Ford Coppola. Con Adam Driver, Nathalie Emmanuel, Giancarlo Esposito, Aubrey Plaza. USA, 2024. Fantascienza.