Firenze
Commerazione defunti, l’omelia del vescovo Gambelli
"Aiutaci Signore a vivere una vita santa, allora potremo morire anche santamente"
“Aiutaci Signore a vivere una vita santa, allora potremo morire anche santamente e portare cose belle al banchetto celeste, dove ci attendono i nostri fratelli e sorelle defunti, vegliando su di noi”. Sono le parole dell’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli che stamani ha celebrato la Messa nella commemorazione dei defunti nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.
ecco di seguito il testo dell’omelia
Cattedrale di S. Maria del Fiore Commemorazione fedeli defunti 2 novembre 2024 Nel testo della Lettera ai Romani che abbiamo ascoltato oggi, San Paolo ci invita a riflettere sul frutto dello Spirito Santo nella nostra vita, sviluppando alcuni argomenti che aveva già introdotto nelle lettere ai Galati e ai Corinzi. Ci ricordiamo in particolare la celebre frase, della Prima Corinzi: “Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 15,56-57). Per mezzo del Battesimo noi siamo diventati nuove creature, passando dalla schiavitù dell’osservanza della legge a quella dell’obbedienza della fede. La vita nuova in Cristo si realizza per mezzo del dono dello Spirito Santo che ci permette di compiere un cammino in tre tappe: rompere con il peccato, lasciarsi guidare dallo Spirito, soffrire insieme con Cristo. La prima tappa (“rompere con il peccato”) viene descritta nei v. 12-13 che precedono immediatamente l’inizio del testo della lettura di oggi: “Così dunque fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se invece mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete”. La vita secondo la carne, le opere del corpo alludono ai nostri peccati di egoismo, di orgoglio, di pigrizia che ci rendono schiavi e prigionieri. Lo Spirito Santo ci aiuta a prenderne coscienza e a provare quella sana vergogna, quel disgusto del male che ci permettono di abbandonare con coraggio questo modo di vivere. Il beato Carlo Acutis, che aveva l’abitudine di accostarsi al sacramento della riconciliazione ogni settimana, diceva: “La mongolfiera per salire in alto ha bisogno di scaricare i pesi, coì come l’anima per elevarsi al cielo ha bisogno di togliere dei piccoli pesi che sono i nostri peccati veniali. Se per caso c’è un peccato mortale, l’anima ricade a terra e la Confessione è come il fuoco che fa risalire in cielo la mongolfiera”. La seconda tappa (“lasciarsi guidare dallo Spirito”) viene indicata nei versetti seguenti: “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!”. Lo Spirito è quel dono di Dio che ci aiuta a crescere nella relazione filiale, riconoscendo in ogni situazione della vita i segni dell’amore del Padre: “Quale padre far voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11,11-13). La fede nella Risurrezione dai morti nell’esperienza del popolo di Dio d’Israele nasce a partire proprio dalla riflessione sulla fedeltà di Dio alle sue promesse: “Perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,10-11). S. Francesco di Assisi, imparando a lodare Dio per tutte le creature riconosciute come fratelli e sorelle, percepisce intimamente che ognuno di noi viene da Dio e va verso Dio. Giunge così a lodare Dio anche per sorella nostra morte corporale, perché capisce che vivendo secondo la santa volontà di Dio, essa non sarà che un passaggio, come una seconda nascita alla vita vera e piena, alla vita eterna. La terza tappa (“soffrire insieme con Cristo”) viene esplicitata in particolare nel v. 17: “E se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria”. Dovremmo molto probabilmente tradurre più fedelmente questa frase cambiando la congiunzione “se” con “poiché”: “Siamo eredi poiché partecipiamo alle sue sofferenze”. Questa congiunzione non indica una condizione, ma una constatazione: inutile cercarsi delle sofferenze per poter partecipare alla gloria di Cristo; esse comunque ci sono. Occorre invece viverle come partecipazione a quelle di Cristo. È interessante osservare come i giusti di cui ci parla il vangelo di oggi, facendo riferimento alle opere di misericordia da loro compiute, non si sono mai accorti di averle fatte a Gesù: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Ciò significa che non hanno contabilizzato il bene compiuto, né le sofferenze subite nel servizio del prossimo. Chiediamo al Signore la grazia di questo gusto del bene, come ci ricorda papa Francesco: “Seguire Gesù non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove” (EG 167). Quando preghiamo la sequenza allo Spirito Santo diciamo: Dona morte santa. Aiutaci Signore a vivere una vita santa, allora potremo morire anche santamente e portare cose belle al banchetto celeste, dove ci attendono i nostri fratelli e sorelle defunti, vegliando su di noi.