Chiesa Italiana
«Uno scoglio che accoglie le onde e rimanda speranza»
Intervista a don Luciano Marchetti che guida l’unità pastorale di Borgo San Lorenzo in diocesi di Firenze: «La mia giornata è impegnativa ma di grande soddisfazione, piena di contatti, di relazioni, ho bisogno di stare con le persone»
Don Luciano è parroco di una unità pastorale in diocesi di Firenze che comprende la parrocchia grande di Borgo San Lorenzo, la Pieve, e altre piccole comunità che costituiscono il perimetro di Borgo San Lorenzo: la parrocchia di San Donato in Polcanto, di Santa Maria a Olmi, di San Cresci e Sacra Famiglia a Sagginale, di San Miniato a Piazzano e recentemente anche San Giovanni Maggiore a Panicaglia. «È una realtà molto grande – spiega don Luciano – e molto impegnativa, ma con me collaborano un sacerdote della nostra diocesi, don Francesco Alpi, don Christian Quintana che è arrivato un mese e mezzo fa dal Nicaragua ed è totalmente impegnato nella pastorale e poi abbiamo un indiano, don Nidhin, che è un sacerdote studente il quale ha come compito principale quello dello studio. Abbiamo questa grande realtà che è l’unità pastorale di Borgo San Lorenzo che ci impegna 24 ore su 24 è anche bello questo, perché era il mio sogno quello di diventare un prete/pastore e sono stato accontentato. Effettivamente sento anche la fatica di questa gestione, perché un conto è lavorare come parroco che significa celebrare i sacramenti, l’Eucarestia, annunciare la Parola, incontrare le persone, poi però c’è anche il risvolto della burocrazia, di attenzione agli immobili e tutto questo porta via tempo e energia, e poi richiede competenze che io non posseggo. Grazie a Dio nella nostra unità pastorale abbiamo tanto volontariato, tante persone che si impegnano e mettono a frutto i loro talenti e ci aiutano nelle nostre attività».
Quanti sono i parrocchiani dell’unità pastorale?
«In tutto sono 14mila. Dobbiamo tenere insieme vari gruppi, varie parrocchie, l’oratorio, il Centro giovanile che la gente chiama ancora “Salesiani”, anche se loro non ci sono più, e che è seguito da don Francesco che si occupa dei giovani e questa cosa è una grande ricchezza».
Com’è la giornata tipo?
«Mi alzo molto presto al mattino, è una questione di abitudine, quando ero ragazzo, da studente, mi alzavo sempre presto la mattina per studiare perché la sera per me era più difficoltoso. La mattina dopo il caffè, la colazione e dopo la preghiera, comincio a preparare le omelie per le varie circostanze, già da lunedì si comincia a buttare giù lo schema dell’omelia della domenica. Alle 7,45 andiamo in pieve per le lodi che facciamo insieme alla comunità, dipende da chi di noi celebra alle 8 o alle 18. Poi solitamente faccio un piccolo briefing con i collaboratori in modo particolare con don Francesco per dividerci i compiti, ognuno di noi ha un’agenda ricca di appuntamenti. La mattinata continua ognuno con i propri impegni, don Francesco al Centro giovanile, e dietro gli aspetti economici, è molto bravo, ad esempio se c’è bisogno di una ditta per ripulire il tetto, insomma se c’è da intervenire su questioni molto pratiche lui è capace, mentre io no, in questo siamo messi bene, perché siamo complementari. In questo periodo è arrivato don Christian dal Nicaragua e io devo fargli conoscere il territorio della parrocchia, quindi ora lui tutti i giorni mi accompagna. La mattina, quando non ho funerali e sono libero ne approfitto per andare a visitare i malati, o a fare colloqui. A mezzogiorno e mezzo ci troviamo tutti per il pranzo, c’è questa cosa bella, che la gente sapendo che siamo da soli, perché viene una signora la mattina a fare le pulizie ma non cucina, ci porta tanto cibo»
Chi cucina?
«Non c’è proprio un cuoco, le persone sono molto generose e ci portano molte cose, specialità stagionali e non, con molta abbondanza, io le assemblo e poi mangiamo. Tutto qui. Dopo pranzo dalle 13.30 alle 14.30 faccio una visitina in ospedale, diciamo che faccio una pastorale sanitaria. Poi, se c’è un funerale visto che questa funzione ti prende molto tempo ed è molto impegnativa sono occupato lì, altrimenti continuo le visite e i colloqui. Nel tardo pomeriggio, invece, partecipo a riunioni di coordinamento. Poi dopo cena se non ci sono degli incontri c’è il momento del riposo. Ecco questa è la giornata, impegnativa ma di grande soddisfazione, piena di contatti, di relazioni, perché io non riesco a stare chiuso in ufficio, ho bisogno di stare con le persone, uscendo le incontro e succedono tante situazioni che altrimenti non verresti a conoscere».
Se lei dovesse fare una riflessione, un bilancio dopo tanti 33 anni di sacerdozio, visto che è stato ordinato nel 1991, cosa verrebbe fuori?
«Diciamo che verrebbero fuori due espressioni che hanno fatto da guida al mio ministero: da prete parroco sii sempre una favola per i bambini, un sogno per gli adolescenti, un’inquietudine per i giovani, un fratello per gli adulti, una carezza per gli anziani e un elisir per gli ammalati. Ecco ho cercato di esserlo, di seguire questa indicazione. Poi mi ricordo di un prete che disse così: il prete parroco deve saper accogliere i lamenti delle persone, quelle che urlano e quelle che appena bisbigliano e deve farlo come gli scogli, lasciarsi raggiungere da questa onda di sofferenza degli altri rimandando spruzzi di speranza. Il prete deve rimandare agli altri la speranza nella vita che è piena di sofferenza e non è certo facile. Io sono contento di essere prete e non ho alcun rimpianto per la scelta che ho fatto».