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Veglia: Pizzaballa, “mai confondere pace con vittoria”

"Continueremo a parlare e a credere nel perdono e nella riconciliazione": le parole del patriarca latino di Gerusalemme durante la veglia di preghiera per la pace, celebrata ieri sera a Gerusalemme, a conclusione della Giornata di preghiera, digiuno e penitenza

(Foto Latin Parish/Romanelli)

“In questo tempo in cui la violenza sembra essere l’unico linguaggio, continueremo a parlare e a credere nel perdono e nella riconciliazione. In questo tempo pieno di dolore, vogliamo e continueremo a usare parole di consolazione e a dare conforto concreto e incessante laddove il dolore cresce”.

Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, durante la veglia di preghiera per la pace, celebrata ieri sera a Gerusalemme, a conclusione della Giornata di preghiera, digiuno e penitenza. “Anche se dobbiamo ricominciare ogni giorno, anche se possiamo essere visti come irrilevanti e inutili, continueremo a essere fedeli all’amore che ci ha conquistati e a essere persone nuove in Cristo, qui a Gerusalemme, in Terra Santa e ovunque ci troviamo. Per questo – ha ribadito il patriarca – siamo qui oggi. Per questo digiuniamo e preghiamo. Per purificare i nostri cuori, per rinnovare in noi il desiderio di prosperità e di pace con la forza della preghiera e dell’incontro con Cristo, e per credere che queste non sono solo parole, ma vita vissuta. Anche qui, in Terra Santa”.

“Quest’anno – ha ricordato il card. Pizzaballa – abbiamo gridato il nostro orrore per i crimini commessi, a partire dagli eventi del 7 ottobre di un anno fa, nel sud di Israele, che hanno lasciato una profonda ferita negli israeliani fino ad oggi. Abbiamo inoltre alzato la voce contro la reazione di aggressione, distruzione, fame, sofferenza e morte. Stiamo assistendo – ha denunciato – a un livello di violenza senza precedenti nelle parole e nelle azioni. L’odio, il dolore e la rabbia sembrano essersi impadroniti dei nostri cuori, non lasciando spazio ad altri sentimenti se non al rifiuto dell’altro e della sua sofferenza”. Un anno trascorso a cercare, come Chiesa, “di esprimere la nostra solidarietà e il nostro sostegno alla comunità di Gaza e a tutti i suoi abitanti, di essere una voce che condanna con forza e chiarezza tutta questa violenza che non farà altro che provocare un circolo vizioso di vendetta che genererà altra violenza”.

“Abbiamo ribadito – ha aggiunto il patriarca – la nostra convinzione che la violenza, l’aggressione e le guerre non creeranno mai pace e sicurezza. Abbiamo ripetuto incessantemente che ciò di cui abbiamo bisogno è invece il coraggio di pronunciare parole che aprano orizzonti e non il contrario, di costruire il futuro invece di negarlo. Abbiamo bisogno del coraggio di scendere a compromessi, di rinunciare a qualcosa, se necessario, per un bene più grande, che è la pace. Non dobbiamo mai confondere la pace con la vittoria!”. L’impegno del patriarcato e della comunità cristiana in questo anno è stato anche nel sottolineare “la necessità di costruire un futuro comune per questa terra, basato sulla giustizia e sulla dignità di tutti i suoi abitanti, a partire dal popolo palestinese, che non può più attendere il suo diritto all’indipendenza, troppo a lungo rimandato. Abbiamo affermato la necessità di fare e dire la verità nelle nostre relazioni, di avere il coraggio di pronunciare parole di giustizia e di aprire prospettive di pace. Ciò che è accaduto e sta accadendo a Gaza ci lascia attoniti e al di là di ogni comprensione”.

Il card. Pizzaballa ha evidenziato “tutta la debolezza della diplomazia, della politica, delle istituzioni multilaterali e della comunità internazionale” e ha ammesso: “In un contesto così drammatico, quest’anno ha messo a dura prova la nostra fede. Non è facile vivere nella fede in questi tempi duri. Le parole ‘speranza’, ‘pace’, ‘convivenza’ ci sembrano teoriche e lontane dalla realtà. Forse anche la preghiera ci è sembrata a volte un obbligo morale da assolvere, ma non il luogo da cui attingere forza nella sofferenza, uno sguardo diverso sul mondo, non uno spazio di incontro privilegiato con Dio, per trovare conforto e consolazione. Credo che questi siano pensieri umani inevitabili. Ma è proprio qui – ha ribadito – che la nostra fede cristiana deve trovare un’espressione visibile. Siamo chiamati a pensare oltre i calcoli di breve respiro, non possiamo fermarci solo alle riflessioni umane, che ci intrappolano nel nostro dolore, senza aprire prospettive. Siamo chiamati a leggere queste sfide alla luce della Parola di Dio, una Parola che accompagna e allarga il nostro cuore. E dobbiamo continuare a farlo. È questa la nostra principale missione come Chiesa”.