Fiesole
Il vescovo Manetti in Brasile, il reportage
Il vescovo di Fiesole Stefano Manetti insieme a due seminaristi - Bernardo Baldini e Francesco Foto - è stato in Brasile dal 18 luglio al 3 agosto: è stata una «visita pastorale» alla diocesi di Floresta dove è vescovo mons. Gabriele Marchesi, per anni sacerdote diocesano
Il vescovo di Fiesole Stefano Manetti insieme a due seminaristi – Bernardo Baldini e Francesco Foto – è stato in Brasile dal 18 luglio al 3 agosto. Come ci ha detto lui prima di partire è stata una «visita pastorale» alla diocesi di Floresta dove è vescovo mons. Gabriele Marchesi, per molti anni sacerdote nella Chiesa fiesolana. Don Gabriele Marchesi ha sempre dimostrato di avere la vocazione da «missionario»: in diocesi è stato direttore dell’Ufficio missionario diocesano e ha collaborato con l’associazione di don Carlo Donati facendo molti viaggi in Burkina Faso. Finché un giorno, nel 2003, è emerso il bisogno di andare in Brasile a sostegno dei missionari diocesani già attivi là: don Franco Manetti (adesso rientrato a Montevarchi) e don Sergio Ielmetti (deceduto). Dopo un periodo insieme agli altri due sacerdoti fiesolani venne destinato alla parrocchia di «Pedro du Rosario» e nel 2013 venne nominato vescovo e destinato alla diocesi di Floresta, sempre in Brasile, ma nello stato del Pernambuco non più nel Maranhao, distante circa mille chilometri dalla sua parrocchia. Il vescovo Gabriele, oltre alla responsabilità della diocesi di Floresta, è anche responsabile delle Comunità di base brasiliane, per conto della Conferenza Episcopale. Ecco il reportage del viaggio scritto dal vescovo Manetti e dai due seminaristi.
Manetti: “Ho trovato comunità coese con al centro l’amore per il Signore”
È il 19 luglio 2024. Nella notte il vescovo Gabriele ci accoglie salutandoci con un bel sorriso appena atterrati a Recife e ci accompagna a Floresta, la diocesi affidata alla sua cura pastorale dal 2013. Sono con Bernardo e Francesco, due giovani del nostro seminario.
La diocesi di Floresta si trova a 8 gradi sotto l’equatore, nel «sertao», la campagna semi arida tipica di questa parte del Brasile, caratterizzata da cespugli bassi e spinosi. Comprende 11 comuni dello Stato del Pernambuco, nel Nordest del Brasile, estendendosi per un’area grande quasi quanto la regione Lazio. Conta 260.000 anime, 12 parrocchie, 20 sacerdoti, dei quali solo 15 sono parroci.
La parrocchia di Petrolandia ha un territorio di 1.700 Kmq (la nostra diocesi è di 1.300 Kmq) su cui sono distribuite 56 comunità. Il parroco incontra ogni mese il consiglio pastorale composto dai coordinatori delle comunità (suore e laici) i ministri sono scelti dalla comunità celebrano le esequie fanno catechismo, celebrano la liturgia della Parola leggono il vangelo e fanno l’omelia. I ministri che abbiamo conosciuto sono tutte donne, ma così è in ogni comunità, agiscono in gruppo (da due a quattro o cinque) per un periodo prestabilito, dopo di che subentra un altro gruppo con nuovi ministri per evitare il rischio del clericalismo dei laici. Le comunità hanno la Messa con parroco ogni due mesi nelle zone rurali. In città ci sono 6 comunità con la Messa una volta al mese. Tutte hanno la celebrazione della Parola ogni domenica, spesso con la distribuzione della comunione eucaristica.
Molto sentita la devozione verso i santi. Il motivo è dovuto alla evangelizzazione originaria: gli schiavi che sbarcavano venivano tatuati e battezzati, il missionario li accompagnava all’interno e stava con loro per tre mesi poi tornava sulla costa. Le novene sono molto sentite e curate portate avanti totalmente dai laici. La festa del patrono accolgono i pellegrini nelle famiglie.
I laici si preoccupano della crescita della fede della comunità. La loro formazione comincia con un corso di 4 anni un mese all’anno 20 giorni di gennaio e 10 di luglio, residenziali a cura della scuola di missionarietà. Poi continua nella formazione permanente. Il vescovo Gabriele abita con una equipe di formatori nel Centro Pastorale Diocesano, dove si susseguono ininterrottamente i corsi per i laici.
Abbiamo visitato 7 parrocchie e partecipato all’incontro vocazionale in una famiglia che accoglieva il gruppo dei vicini.
La comunità è autoreggente, sta in piedi da sé, il parroco è accolto quando può, saltuariamente, ma la vita della comunità ha un suo percorso stabile che si giova certamente dell’apporto del sacerdote il quale si inserisce in una vita che già sta andando avanti grazie ai laici. La conseguenza è una forte comunione fra i fedeli, che dimostrano di essere una comunità coesa, con relazioni semplici, dirette, trasparenti e vive.
Ciò che sta al loro centro è l’amore per il Signore, che è davvero il loro più grande tesoro.
Questo decentramento della vita della comunità dalla persona del parroco che non è colui che fa tutto ma il suo specifico: la Messa la Confessione, la predicazione e la formazione dei laici.
Questa consapevolezza di essere comunità animata dal Signore con l’apporto di tutti i carismi compreso quello del prete che non è né l’unico né l’esclusivo dimostra una maturità delle fede che davvero dà forma alla vita quotidiana, animando evangelicamente le cose temporali in cui i laici vivono.
vescovo Stefano Manetti
Bernardo, seminarista: “Una diocesi grande come il Lazio con soli venti preti”
È molto difficile, data l’intensità dell’esperienza che abbiamo vissuto, selezionare i ricordi da condividere sui quindici giorni passati nella diocesi di Floresta. Ed è altrettanto difficile decidere da dove iniziare a raccontare. Potrebbe essere una via quella di descrivere le prime potenti impressioni avute mentre la macchina di Don Gabriele Marchesi, che era venuto a prenderci all’aeroporto di Recife al pari di un familiare, si inoltrava nelle regioni interne del Pernambuco, dove la vegetazione, rigogliosa nella zona costiera, si faceva sempre più rada e dava spazio a quell’ecosistema che qui chiamano il sertao, dove regnano piccoli arbusti, qualche albero dall’aria particolarmente coriacea, e molti cactus, in numerose e sconosciute varietà. In alto volteggiano decine di urubu, neri e placidi. Sarebbe bello far percepire la sensazione di vastità che infondono quelle pianure tagliate da strade lunghe e diritte, come tracciate su di un foglio per congiungere centri abitati sorti nel corso della colonizzazione portoghese e piccoli villaggi sparsi. Un luogo che ti fa sentire piccolo, che ti fa percepire quanto quella terra che abbiamo lasciato una volta decollati da Peretola, per quanto ricca di tante cose, sia in fondo solo una modesta parte del mondo e che oggi come non mai è importante poter guardare un po’ da vicino cosa vivono gli uomini in altri angoli della terra. Cosa vivono i cristiani. Perché qui c’è una Chiesa che vive, che cerca giorno per giorno di rendere presente tra gli uomini quel Dio che ha scelto, anche nel sertao, di incarnarsi, di abitare la vita degli uomini e delle donne. Ed è inutile dire che sono stati gli incontri con quelle persone a segnare in modo più profondo i nostri giorni in Brasile. Tante storie diverse, che si intrecciano: i sacerdoti che dedicano la loro vita a cercare di tenere vive relazioni con i molti fedeli loro affidati – basti pensare che la diocesi di Floresta è grande come il Lazio ed ha a disposizione una ventina di preti, tra cui anche alcuni anziani, che si occupano delle 12 vaste parrocchie distribuite sul territorio –, percorrendo ogni giorno decine di chilometri per raggiungere ora questa, ora quella comunità, magari raggiungibile unicamente attraverso una pista sterrata o attendendo sulla riva del Rio Sao Francisco una barchetta che li possa traghettare su una delle numerosa isole abitate dai discendenti delle popolazioni africane deportate in Brasile nel corso dei secoli – in una di queste isole abbiamo partecipato a una festa patronale tanto semplice, quanto autentica nel suo essere frutto della condivisione di una piccola comunità che sa ancora cosa significa ritrovarsi, incontrarsi, essere insieme. Oppure le tante religiose che, in forme diverse, in abiti diversi, ma con un amore radicato che parla dello stesso Signore, si impegnano a vivere in mezzo al popolo di Dio, lavorando nelle strade, nell’educazione, nella formazione di tante persone che talvolta non hanno molti altri a cui poter fare riferimento. I seminaristi, non molti, ma felici della strada intrapresa di sequela di Dio, di servizio in una terra che ha sempre bisogno della disponibilità dei cristiani a inginocchiarsi sulle ferite e sui bisogni dei fratelli. I laici impegnati, tanti, che in effetti costituiscono la colonna portante della Chiesa di Floresta, perché ogni comunità, con la sua chiesetta, con la sua porzione di popolo, ha negli animatori di comunità, nei ministri dell’Eucaristia, nei responsabili dei vari ambiti della pastorale, i suoi riferimenti più immediati. Ognuno è chiamato a prendersi cura della vita cristiana della sua Chiesa, come in effetti dovrebbe essere sempre, perché Chiesa lo siamo tutti. Per questo motivo è stato anche molto interessante vedere come la Diocesi, e Don Gabriele in prima fila, si impegna con ogni mezzo a formare i cristiani, a fornirgli gli strumenti per essere membri attivi delle proprie comunità: momenti di formazione comunitaria, sussidi, accompagnamento – tutt’altro che scontato, date le grandi distanza della diocesi –, tutto quello che è possibile perché nessuno resti escluso dall’accesso alla Parola di Dio – centrale come è giusto che sia – e dalla possibilità di vivere secondo la proposta del Vangelo: vivere da Figli di Dio. Sarebbero ancora tante e tante le cose da ricordare e raccontare, ma meglio limitarsi a concludere con un’espressione di gratitudine: gratitudine nei confronti del Vescovo Stefano e della diocesi che ci ha permesso di fare questa meravigliosa esperienza di incontro; gratitudine nei confronti di Don Gabriele Marchesi e dell’ospitalità familiare e bella con cui ci ha accolti e accompagnati nel corso dei giorni a Floresta; gratitudine verso i tanti volti che abbiamo incrociato nello scorrere delle due settimane passate là; gratitudine a Dio per il suo infaticabile lavoro nel cuore degli uomini che accolgono la sua grazia, in terra brasiliana, come a Fiesole.
Bernardo Baldini, seminarista
Francesco, seminarista: “I sacerdoti sono come padri delle loro comunità”
Il Vescovo Gabriele Marchesi ci ha ospitati nella sua abitazione, il Centro Diocesano per la Formazione, per poi accompagnarci giorno per giorno nella visita pastorale della diocesi. La sua è stata una compagnia tanto cordiale e gentile che non possiamo non esprimergli tutta la nostra gratitudine. Abbiamo avuto modo di visitare numerose e diverse comunità cristiane del luogo, tra le quali anche alcune realtà indigene. Abbiamo visto comunità animate da un’unica fede che dà luce agli occhi, sapore alla vita e che si esprime nella venerazione dei Santi, nell’amore per il Signore e per la sua Chiesa. Molte delle loro case sono perlopiù fatte da mattoni lasciati a vista ed altre, intraviste solo da lontano, di fango, paglia e legname vario. Cosa è risaltato ai nostri occhi? Credo l’attenzione con la quale la gente del posto curi il suo rapporto personale con la parola di Dio organizzando momenti di riflessione comunitaria nelle case di alcune famiglie disponibili e di come si prenda cura delle chiese quale il luogo di ritrovo di tutta la comunità: è stato commovente vedere come le persone di tutto il vicinato abbiano vissuto con fede la liturgia ed i momenti di preghiera. La maggior parte delle comunità vive il suo essere chiesa anche in assenza del parroco che non può coprire tutte le distanze se non in tempi diversi. Il suo arrivo è atteso con gioia in quanto c’è la possibilità non scontata di accostarsi ai sacramenti e celebrare la Santa Messa. Per quanto riguarda la carità, chi può sostiene la chiesa versando periodicamente la decima dei propri guadagni con quello spirito di gratuità e di corresponsabilità in cui ognuno è chiamato a dare il suo contributo. Inoltre è grazie al sostegno economico della fondazione «Aiuto alla Chiesa che soffre» che alcuni sacerdoti della diocesi possono permettersi un’automobile per spostarsi e visitare le varie comunità. Là i sacerdoti sono chiamati con l’appellativo di «Padre». Definizione interessante, in un momento in cui forse, sia nella Chiesa che nella società, c’è bisogno di riscoprire e valorizzare quelle figure capaci di offrire una paternità che sia gratuita, amorevole ed evangelica. In noi giovani in particolare c’è la ricerca di una figura stabile con la quale potersi confrontare, una guida affidabile, una persona capace di accoglierti e magari anche di risponderti al campanello del citofono o allo smartphone ad un’ora tarda della notte: d’altronde questo è l’orario più consueto per molti ragazzi, il momento in cui la verità spesso bussa alla porta del cuore insieme a tanti altri problemi. Sì, credo che ci sia sempre più bisogno di uomini di fede capaci di ascoltarti e di aiutarti a trasformare i tuoi problemi in momenti di grazia, aiutandoti alla luce del Cristo risorto a rileggere la tua vita come a qualcosa di meraviglioso e piena di senso: quella di una vocazione speciale. A tal proposito ricordo i diversi sacerdoti che abbiamo conosciuto durante la nostra esperienza in Brasile e che ci hanno testimoniato come rispondono alla loro vocazione di padri nella comunità nelle quali sono stati inviati. In particolare, prima di ripartire per l’Italia, a Recife ci è stata data l’occasione di conoscere più da vicino la figura evangelica di Dom Helder Camara. Egli è stato presbitero e poi arcivescovo della città di Recife e Olinda, Padre Conciliare del Concilio Ecumenico Vaticano II, che scelse di vivere in mezzo al popolo, nella canonica della chiesa. In quella sede ospitava e prestava tempo, spazio e ascolto a tutti coloro che bussavano alla sua porta: uomini di diversa estrazione sociale in cerca di consiglio, aiuto o semplicemente conforto spirituale ed umano. Alla luce di queste brevi considerazioni, credo che questa sia stata un’esperienza importante che ci ha lasciato nel cuore e nella mente qualcosa su cui riflettere e pregare nei prossimi giorni e in quelli avvenire, perché questo tratto di strada, percorso insieme al nostro Vescovo Stefano in terra di missione, non rimanga una parentesi, ma divenga una realtà che trovi continuità e porti frutti anche nella nostra amata Diocesi di Fiesole.
Francesco Foto, seminarista