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Sudan, il viaggio dei comboniani tra gli sfollati

Il racconto di padre Bedin che ha dovuto evacuare la missione di El Obeid: «Abbiamo condiviso gioie e dolori, vicissitudini e speranze»

Sono rientrato lo scorso 5 agosto dal Sudan dopo un viaggio che da El Obeid mi ha portato fino a Venezia, passando per la principale via di fuga oggi percorribile da El Obeid a Juba capitale del Sud Sudan.
La situazione in Sudan non fa molto sperare in una soluzione del conflitto tra le milizie e l’esercito regolare guidato dal generale Al Burhan. In questi giorni al Cairo ci sono le delegazioni delle due parti che stanno dialogando. Sono colloqui il cui obiettivo non è trovare soluzioni di pace e giustizia per il popolo sudanese martoriato dalla guerra, ma per accordarsi nel lasciare agli organismi internazionali la possibilità di portare aiuto agli sfollati interni e ai campi profughi.
La comunità comboniana di El Obeid ha ricevuto l’ordine di evacuazione lo scorso 30 giugno per raggiungere la comunità di Kosti nel più breve tempo possibile. Quest’ordine ci è giunto a causa dell’incertezza dello stato di cose del paese e per dare a noi un luogo più sicuro nell’attesa che gli eventi migliorino.
Il viaggio verso Kosti e successivamente in direzione di Juba mi ha permesso di prendere conoscenza di una delle principali vie di fuga dal Sudan. Oggi il percorso El Obeid – Kosti -Renk (Sud Sudan) è diventato, per la popolazione del Kordofan, l’unica via di fuga percorribile con un margine di sicurezza. Infatti le milizie hanno raggiunto un obiettivo importante: il controllo di tutte le vie di comunicazione che da El Obeid portano a Khartoum, Monti Nuba, Kosti e Darfur. La gente di El Obeid, è consapevole che percorrendo la strada da El Obeid a Kosti, deve avere con sé ingenti risorse per pagare i check point delle milizie a Rahad e Um Rwaba. Chi riesce ad arrivare a Kosti alloggia presso amici e conoscenti per poi tentare di passare il confine con il Sud Sudan nel distretto governativo di Jebalayn – Goda che confina con la zona governativa di Renk Sud Sudan. Entrati nel Sud Sudan se i fuggitivi non hanno conoscenze a Renk, sono obbligati ad alloggiare nei campi profughi e sfollati interni che si trovano lungo la strada che da Jebalayn – Goda conduce a Renk.
In questa strada da ambo le parti da quando è iniziato il conflitto, lo scorso 15 aprile 2023, troviamo migliaia di alloggi di fortuna costruiti con paglia, arbusti, lamiere o quant’altro. Dopo poco più di un anno sono diventati dei villaggi che si snodano per una lunghezza di circa 50Km. Non hanno accesso all’acqua né all’energia elettrica. Hanno costruito le loro case in terreni che durante la stagione delle piogge diventano acquitrini e pantani a cielo aperto e nella stagione secca sono in balia di un sole cuocente che raggiunge la temperatura di 48 C. L’Unhcr (Alto commissariato dell’Onu per i profughi e rifugiati) grazie all’accordo con il governo del Sud Sudan, ha la responsabilità di monitorare, soccorrere e portare aiuti alle migliaia di persone accampate in questa zona. Si calcola di almeno 20.000 persone che ogni giorno lottano per restare in vita. L’Unhcr soccorre gli sfollati interni con l’assistenza sanitaria, acqua, cibo e scuola. La parrocchia di Renk è riuscita a costruire una cappella. Alcuni sacerdoti locali cercano di essere presenti per il servizio liturgico e per l’assistenza spirituale ai molti cristiani.
In questo viaggio migratorio nella ricerca di un luogo sicuro per la nostra comunità comboniana di El Obeid in Kosti, siamo stati alloggiati per qualche giorno nella città di Al Duwein 120 Km a Nord di Kosti. Anche qui abbiamo notato un paese degradato, strade distrutte, abitazioni e case diventate luoghi in cui la gente cerca rifugio, accoglie i propri connazionali o parenti che stanno scappando dalla guerra. Partiti da El Duwein siamo arrivati a Kosti, nel frattempo abbiamo appreso che le milizie sono entrate nella città di El Duwein seminando panico tra la gente. Giunti a Kosti siamo stati accolti nella nostra casa comboniana che è adiacente alla parrocchia S. Paolo il cui parroco è padre Oswald, comboniano.
Siamo partiti da El Obeid all’alba del 20 luglio giungendo a Kosti il lunedì 22 nel pomeriggio. Assieme a noi hanno viaggiato le suore Missionarie della carità di Madre Teresa e le suore del Sacro Cuore. Mercoledì ci ha raggiunto il padre provinciale in arrivo da Juba – Renk. I giorni seguenti abbiamo cercato di fare il punto della situazione e di vedere con il vescovo di Kosti come procedere. Il vescovo mons. Daniel ha consigliato alle suore di mettersi in viaggio il più presto possibile, mentre a noi comboniani di programmare per i confratelli un possibile rientro in patria per riposo, lasciando però qualche confratello a Kosti per il ministero e la pastorale.
Con queste indicazioni io e le suore del Sacro Cuore abbiamo viaggiato da Kosti a Renk il 1° agosto. Il viaggio mi ha permesso di vedere e accertare la presenza di migliaia di profughi e sfollati interni che si sono ammassati immediatamente dopo il confine tra Sudan e Sud Sudan zona Jebalayn – Goda – Renk e che qui sopra vi ho descritto.
Abbiamo lasciato El Obeid e una speranza si è aperta: Il governatore ha deciso di aprire le scuole pubbliche e private. I giorni successivi un altro triste evento segna la città di El Obeid; una bomba cade in una scuola superiore di ragazze provocando 5 morti e 20 feriti. A causa delle ferite riportate moriranno altre ragazze. Nonostante il clima di insicurezza il governatore mantiene le scuole aperte per non lasciare la popolazione nella desolazione e nell’incertezza.
I fatti descritti non lasciano margine di speranza. Ma il popolo sudanese ha imparato a pazientare, vegliare e aspettare il giorno in cui si potrà ricominciare a vivere nella libertà nella giustizia e nella pace. La gente di El Obeid ci aspetta e ci manda in continuazione messaggi di auguri per un pronto rientro. Noi comboniani non abbiamo abbandonato la nostra gente. Abbiamo condiviso con loro gioie e dolori, vicissitudini e speranze. Abbiamo iniziato a progettare con loro un futuro migliore per i giovani, non possiamo lasciare una realtà nella quale abbiamo messo a rischio la nostra vita per il bene della gente. Abbiamo scelto di fare causa comune con il popolo e la Chiesa Sudanese. Il seme gettato da S. Daniele Comboni porterà frutto perché piantato nella speranza della Risurrezione del Crocifisso.
*Missionario Comboniano