Sanità
Triptorelina, un farmaco prescritto ai ragazzi troppo precocemente
Disforia di genere: la buona medicina deve essere sempre al servizio dell’uomo e puntare al suo bene autentico e integrale
La sessualità umana è una realtà complessa, come è complessa e multidimensionale la persona. La sessualità di ciascuno risulta, infatti, dal convergere armonioso di strutture corporee e di strutture psichiche, vissute a loro volta in precisi contesti sociali e culturali. Nel definire la sessualità della persona un elemento fondamentale è costituito dalla cosiddetta identità di genere, vale a dire dalla coscienza di appartenere al genere maschile o a quello femminile o, in casi particolari, di essere fluidi quanto al genere. Non conosciamo ancora con precisione come si forma l’identità di genere, ma sappiamo che esiste una base organica, dovuta all’azione degli steroidi sessuali sul cervello del feto, e una forte componente psicologica, effetto delle esperienze relazionali nei primi anni di vita.
L’identità di genere si delinea precocemente. Essa precede lo sviluppo dell’orientamento sessuale che, semplificando, potrebbe essere descritto come la direzione del nostro desiderio erotico. Nella stragrande maggioranza delle persone l’identità di genere corrisponde al sesso fisico, per cui ad un corpo maschile di regola corrisponde un’identità maschile e a un corpo femminile un’identità femminile. In alcuni soggetti può accadere che l’identità di genere si sviluppi in modo difforme dal sesso corporeo e questa discrepanza crea – com’è intuitivo – una situazione di disagio che la medicina oggi definisce disforia di genere.
Il termine transessuale, introdotto da David Cauldwell nel 1949 e tuttora usato nel linguaggio corrente non scientifico, si riferiva a una situazione estrema nella quale la percezione di appartenere a un genere diverso dal sesso corporeo si accompagna alla volontà di adeguare l’aspetto corporeo alla propria identità psicologica. La disforia di genere abbraccia una serie di situazioni molto più ampia e variegata rispetto al classico transessualismo e anche i percorsi per affrontarla sono ovviamente diversificati. Nei casi di maggiore sofferenza e non rispondenti in modo soddisfacente a interventi medici e psicoterapeutici, si propone il discusso adeguamento del corpo all’identità, con la castrazione, la somministrazione di ormoni, la mastectomia nella donna e, soprattutto, la correzione dei genitali esterni.
La disforia non riguarda solo gli adulti perché essa può presentarsi in ogni età della vita, inclusa l’infanzia e l’adolescenza, ovviamente con caratteristiche, esiti e modalità di intervento peculiari. Nei preadolescenti con discrepanza fra identità di genere e sesso corporeo, l’incipiente maturazione sessuale può causare situazioni di profonda angoscia e di difficile gestibilità, con fenomeni depressivi e autolesionistici fino al suicidio.
Nei casi più gravi si è proposto di bloccare la maturazione sessuale con un farmaco denominato triptorelina. La triptorelina agisce a livello dell’ipofisi inibendo l’increzione di ormoni, detti gonadotropine, che stimolano l’attività delle ghiandole sessuali. Essa, dopo essere stata sperimentata secondo le rigorose metodologie previste a livello internazionale, è stata introdotta in terapia con precise indicazioni: la pubertà precoce, l’endometriosi, alcuni tumori sensibili agli ormoni sessuali, la fecondazione artificiale. Il suo impiego nella disforia è recente e, come si suol dire, «off-label» ossia fuori della scheda tecnica e delle indicazioni registrate.
A partire dal 2000, in Olanda, un gruppo di giovani pazienti con disforia è stato trattato con triptorelina e i primi risultati del percorso sono stati pubblicati nel 2018. Quando l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), confortata da un parere positivo del Comitato nazionale per la bioetica, ha consentito questo uso della triptorelina, molti osservarono che i dati sperimentali addotti erano del tutto insufficienti non solo in relazione ad alcuni temuti effetti a livello fisiologico, soprattutto riguardo alle ossa e alla fecondità, ma soprattutto in relazione alle conseguenze psicologiche di un innaturale prolungarsi della situazione prepubere in una sorta di limbo neutrale.
Il rischio più temibile era che quello che veniva giustificato come un tempo di attesa e di approfondimento diagnostico, si configurasse invece, di fatto, come il primo passo di una transizione sessuale e potesse condurre a opzioni terapeutiche azzardate e a dolorosi pentimenti. Questi interrogativi erano presenti anche al Comitato nazionale per la bioetica il quale, dopo aver dato un parere positivo nel 2018, l’anno seguente aveva ritenuto opportuno sottolineare la raccomandazione «di consentire l’uso di questo farmaco solo in casi molto circoscritti, con prudenza, con una valutazione caso per caso, chiedendo ad Aifa una determinazione di alcune condizioni etiche indispensabili».
La vasta e rapida diffusione della pratica del blocco della pubertà ha confermato la fondatezza delle perplessità iniziali. Non si discute l’utilità della triptorelina per superare momenti di drammatica disperazione, ma si discute sulla facilità con cui si è ricorsi a questa pratica in casi di disforia che potevano essere affrontati diversamente e sulla eccessiva condiscendenza con la quale si è seguita la richiesta di interventi ormonali o addirittura correttivi da parte di persone molto giovani.
Allarmante in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, è stata la crescita esponenziale dei casi di disforia, vera o presunta, tra gli adolescenti, da attribuirsi, almeno in parte, all’influsso dei social e a modelli culturali che per i giovanissimi non è facile elaborare criticamente. Non è questa la sede per entrare in una delicata discussione scientifica e medica che vede contrapporsi società accademiche e professionali, ma fa pensare che il prestigioso «Karolinska Institutet» in Svezia, attivo propugnatore del blocco puberale, abbia ammesso di aver danneggiato gravemente la salute di alcuni bambini e abbia deciso di ritardare a dopo il sedicesimo anno l’uso della triptorelina e degli ormoni per la transizione di genere.
Questa scelta per un approccio più cauto alla disforia di bambini e di adolescenti non è isolata e sembra che anche il Comitato italiano di bioetica voglia tornare sulla questione. L’importante è basarsi su evidenze e su dati oggettivi, senza lasciarsi condizionare da pregiudizi ideologici in un senso o in un altro, ed è importante non dimenticare che la buona medicina deve essere sempre al servizio dell’uomo, di tutto l’uomo, e puntare al suo bene autentico e integrale.
*medico endocrinologo, bioeticista e teologo morale