Cultura & Società
Premio Pieve, il “Tutino giornalista” a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il “Città del diario” a Giorgio Diritti
Due incontri in programma a Pieve Santo Stefano (Arezzo): venerdì 13 settembre alle ore 15 e domenica 15 settembre
Per il 40° Premio Pieve l’Archivio dei diari riserva un incontro e uno spazio di riflessione nell’ambito del Premio Tutino Giornalista a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, a trent’anni dalla loro uccisione, come “esempio altissimo di vocazione giornalistica, animato da valori e da una passione che dobbiamo continuare a raccontare alle nuove generazioni”; e attribuisce il Premio Città del diario al regista Giorgio Diritti “per lo spessore del suo impegno civile e per l’incessante attenzione che dedica alle storie marginali”.
Il PREMIO TUTINO GIORNALISTA è stato creato per offrire un riconoscimento simbolico alle nuove leve che ogni giorno onorano con capacità, entusiasmo e dedizione la professione che Tutino ha più amato. Attribuendolo a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin l’Archivio Diaristico desidera contribuire a tenere viva l’attenzione sul tragico episodio accaduto domenica 20 marzo 1994 a Mogadiscio, in Somalia, nella speranza che un giorno non lontano sia possibile ascoltare parole di verità su quanto avvenne. All’incontro in programma venerdì 13 settembre alle ore 15 partecipano Hassan Ahmed, uno degli autori del progetto DIMMI-Diari Multimediali Migranti, il giornalista Maurizio Mannoni, lo storico e africanista Alessandro Triulzi, e inoltre Francesco Cavalli, produttore televisivo, e Walter Verini, senatore ed ex presidente della Commissione Giustizia del Senato, da sempre vicini alla famiglia Alpi. Sarà presente Gloria Argelés.
A distanza di molti anni sappiamo che Ilaria e Miran erano lì per seguire il ritiro delle truppe statunitensi da un Paese lacerato da anni di guerra civile, per conto della Rai. Sappiamo anche che stavano indagando in parallelo su un presunto traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici che, con la copertura della missione umanitaria, avrebbe coinvolto anche società italiane. Ma dopo la raffica di kalashnikov è calata una nebbia fitta sulle circostanze e sui mandanti del loro omicidio. Una nebbia fatta di depistaggi, ritardi nelle indagini, coinvolgimento di innocenti come Hashi Ali Assan, poi scagionato e scarcerato in seguito a una revisione del processo determinata da una inchiesta di Chiara Cazzaniga per la trasmissione “Chi l’ha visto?”. È in corso una lunga e controversa vicenda giudiziaria, per questo ancora oggi la battaglia e l’impegno sono quelli per dare nuovo impulso alle indagini su cause e depistaggi del duplice omicidio.
Giorgio Diritti riceverà domenica 15 settembre il PREMIO CITTÀ DEL DIARIO, rivolto alle personalità del panorama culturale che più si distinguono per il loro lavoro sulla memoria, nell’ambito della manifestazione conclusiva del Premio Pieve 2024.
Il cinema di Giorgio Diritti affronta grandi temi dal valore universale, dall’identità culturale al disagio psichico, dalla libertà di espressione alla memoria, all’infanzia. Al contempo, il suo sguardo attento si è sempre posato sulle vicende degli oppressi, sulla natura delle comunità più circoscritte, fin dall’esordio con Il vento fa il suo giro e il successivo L’uomo che verrà, ricostruzione storica dell’eccidio di Marzabotto raccontato attraverso la visione corale di una comunità agricola.
E nel 2023 Lubo, la sua ultima opera che pone al centro il dramma di una minoranza nomade, gli Jenisch, protagonisti loro malgrado di una buia pagina di storia contemporanea che ha avuto per sfondo la democratica Svizzera. «Nella vicenda di Lubo c’è anche qualcosa di autobiografico», ha raccontato Diritti, «perché è vero che io sono di Bologna ma i miei genitori erano istriani e hanno subito, come altri miei parenti, la fuga forzata dal loro Paese per motivi etnici. Ricordo, quindi, che la comunità degli jenisch, cui fa parte il protagonista, ha subito una persecuzione simile a quella degli ebrei, dei Rom e dei sinti negli anni del nazismo, persino in un paese ritenuto civile e neutrale come la Svizzera». La eco lontana di un richiamo autobiografico e la consapevolezza che nella storia del popolo jenisch è racchiuso un monito per il presente, rivolto a tutti, affinché restiamo vigili in tempi di nazionalismi che ritornano.