Vita Chiesa

La “Lectio divina”, preghiera che entra nella vita

L'abate dei Benedettini Vallombrosani spiega come avvicinarsi a questa forma di lettura della Bibbia

Abbazia di Vallombrosa

Se si entra in una libreria cattolica si trova normalmente uno scaffale interamente dedicato alla «lectio divina». È un segno di un interesse che è cresciuto nel popolo di Dio, grazie al Vaticano II e a tante proposte ecclesiali a partire dalla «scuola della Parola» del compianto card. Martini, che sono andate via via moltiplicandosi in parrocchie, gruppi di preghiera e esperienze di cristiani e cristiane che hanno
ritrovato il gusto della preghiera attraverso la «lectio divina».
«Lectio divina»” è un termine tecnico, classico, di cui è difficile dare una definizione: è una realtà molto ricca, tutt’al più si può tentare di descriverla nel suo senso oggettivo, una lettura che ha per oggetto la Bibbia e nel senso soggettivo e qui il soggetto è Dio, perché se è vero che siamo noi a leggere però è Lui che parla attraverso lo Spirito. Più che la lettura di un libro è l’ascolto di una Persona. Coniugando
insieme i due termini ne risulta l’idea di un dialogo in cui la parola pone di fronte due soggetti: l’io umano di fronte al Tu divino. È una lettura a due: «tête-à-tête» direbbe san Charles De Foucauld, e suppone un
ascolto così pieno, da tradursi spontaneamente in comunione.
Non è il caso di soffermarsi in questo breve articolo sui quattro «gradini» della «lectio divina» (lectio, meditatio, oratio, contemplatio) cui se ne sono aggiunti molti altri nello sviluppo di questa modalità di
pregare. Vorrei piuttosto sottolineare alcuni aspetti che mi sembra urgente ripensare per ridare vitalità a una preghiera che non può non entrare nella nostra vita quotidiana.

  1. EDUCARCI ALL’ASCOLTO
    A mio avviso è la priorità delle priorità, perché – come sappiamo molto bene – l’ascolto è il primo e
    indispensabile atteggiamento esistenziale che Dio chiede all’uomo in tutti e due i Testamenti
    per potersi svelare: “Ascolta Israele!” (Dt 6,4) e “Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo!” (Lc 9,35). Tutta la Scrittura è come imperniata su questo duplice imperativo che ripete il medesimo comando che non va visto come una specie di sopraffazione da parte di un Dio che vuole rivelarsi più forte
    dell’uomo, no! E’ al contrario il dono dei doni, ciò che Dio ha più prezioso e che ci dona nel suo
    amore di Padre, è la volontà salvifica di comunicarsi, di «soffermarsi» in compagnia dell’uomo. Da questo si possono trarre conseguenze capitali sia per la nostra vita di discepoli e discepole del Signore Gesù. Sarebbe vano e velleitario pretendere che nella propria esistenza risplenda una carità
    significativa e incisiva, se non c’è crescita di fede, ma è ancor più vano e velleitario pretendere una
    fede matura senza un profondo, serio, voluto, cercato, ascolto della Parola. Possiamo dire di ricevere dalla parola di Dio un criterio robustamente oggettivo per valutare il nostro ascolto, la
    nostra preghiera, il nostro incontro con lui: chi più ama ha davvero ascoltato, ha davvero
    pregato, ha davvero incontrato Dio. L’amore è il vero termometro del nostro ascolto e della nostra
    preghiera.
  2. EDUCARCI AL SILENZIO
    L’ascolto non è possibile senza il silenzio, esteriore e soprattutto interiore, ma l’uno e l’altro devono inter-agire e re-agire l’uno sull’altro. Tutta la tradizione, da quella biblica a quella patristica, monastica ed ecclesiale in genere, ci insegna che per godere della “grazia” dell’incontro occorre puntare sul silenzio, come premessa, come stile, come habitat. Non c’è alcun automatismo che possa rendere facile questa «salita» verso l’Incontro per mezzo del silenzio! È un lento educarsi, e certamente è l’unica strada per ascoltare davvero. A questo silenzio del cuore si accede per una triplice porta: il decentramento da sé, la presa di distanza dai propri problemi, la capacità di affidamento al Signore. Questo silenzio ha la capacità di farci accedere all’Incontro. Non si può pensare all’incontro con la Parola come a cosa scontata o automatica o data a prezzi stracciati, dove la persona può giocare e giocarsi solo a pezzi e a brandelli. Ogni vero incontro presuppone una totalità di presenza di coloro che desiderano trovarsi.
  3. EDUCARCI NELLA GESTIONE DEL TEMPO
    La “lectio divina” non si può fare in 10 minuti… ha bisogno di tempo e di assiduità! Che abbiamo molto da fare, è fuori dubbio. Siamo presi, soprattutto oggi, da una complessità di doveri, di attività che ci stringono come in una rete. Ma bisogna stare attenti a non diventare le ruote di un
    ingranaggio.
    Ci lamentiamo della mancanza di tempo… ma è proprio mancanza di tempo o scarsità d’amore? È difficile trovare due innamorati che non hanno il tempo d’incontrarsi… Se la preghiera è un fatto d’amore, deve essere sotto il segno della gratuità. Allora la prima cosa da fare è buttare – direi quasi «sprecare» – un po’ della propria vita nella «lectio» per imparare sempre di più che «il Signore è il Signore!». E poi ci accorgeremo — lo dice chiaramente l’esperienza — che, se sappiamo buttare del tempo nella preghiera, alla fine saremo ricchissimi di tempo, perché quello che ci rimane è completamente diverso, perché la preghiera che entra nella vita la cambia qualitativamente. Provare per credere!
    *Abate generale dei Benedettini Vallombrosani