Firenze
Ferragosto: Mons. Gambelli, Maria segno di speranza e consolazione
L’omelia dell’arcivescovo di Firenze oggi in Santa Maria del Fiore
Di seguito l’omelia di monsignor Gherardo Gambelli pronunciata durante la Messa nel Duomo di Firenze
Il significato profondo della Solennità dell’Assunzione che celebriamo oggi è ben sintetizzato nelle parole del Prefazio della Messa che reciteremo prima della preghiera di consacrazione: “Oggi la Vergine Maria, Madre di Dio è stata assunta in cielo. Segno di sicura speranza e consolazione per il popolo pellegrino sulla terra, risplende come primizia e immagine della Chiesa chiamata alla gloria”. Le letture che abbiamo ascoltato vogliono aiutarci, come Maria, a far spazio all’azione dello Spirito Santo che riversa nei nostri cuori l’amore di Dio, grazie al quale si radica in noi la speranza che non delude. Possiamo soffermarci su tre immagini che ci vengono offerte dalla liturgia della Parola.
La prima è quella dell’arca dell’alleanza, di cui ci parla il libro dell’Apocalisse: “Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca dell’alleanza”. Possiamo notare che anche il racconto della Visitazione di Maria a Elisabetta è presentato dall’evangelista Luca con tutta una serie di particolari che alludono fortemente al capitolo 6 del Secondo Libro di Samuele, dove si parla del trasporto dell’arca dell’alleanza dai monti di Giuda in Gerusalemme, al tempo di Davide. Come Elisabetta, anche Davide si chiede: “Come potrà venire da me l’arca del Signore?” e decide allora di farla trasferire nella casa di Obed-Edom di Gat dove rimane per tre mesi, proprio come Maria nella casa di Zaccaria. Maria è dunque l’arca di quella nuova alleanza, preannunciata dai profeti, e che si compie con la venuta di Gesù: “Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: Conoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato” (Ger 31,33-34). San Paolo nella Lettera ai Galati, nell’unico riferimento del suo epistolario alla Vergine Maria, descrive così il nuovo tempo inaugurato con la venuta del Cristo: “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”. Maria, arca della nuova alleanza, desidera visitare oggi anche ognuno di noi. Lei che ha molto aiutato Gesù a crescere, ora aiuta noi a far crescere Gesù nella nostra vita, suscitando in noi l’entusiasmo della fede. Una bella poesia di p. Pedro Arrupe dice: «Lasciati innamorare perché niente può essere più importante che incontrare Dio. Vale a dire, innamorarsi di Lui in una maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui tu ti innamori cattura la tua immaginazione e finisce per lasciare la sua orma su tutto quanto. Sarà quello che decide che cosa ti farà alzare dal letto la mattina, cosa farai nei tuoi tramonti, come trascorrerai i tuoi fine settimana, quello che leggi, quello che sai, quello che ti spezza il cuore e quello che ti travolge di gioia e gratitudine. Innamorati! Rimani nell’amore! Tutto sarà diverso».
La seconda immagine è quella di Maria come madre. Così viene salutata da Elisabetta, riempita di Spirito Santo: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”. Maria è madre di Gesù perché prima di tutto è stata sua discepola (“figlia del suo figlio”), ascoltando la parola di Dio e mettendola in pratica: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Il beato Isacco della Stella, in un celebre discorso, ci ricorda che ognuno di noi è invitato a generare Cristo nel mondo: “Anche la singola anima fedele può essere considerata come sposa del Verbo di Dio, madre figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dunque in generale per la chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per l’anima fedele”. La donna incinta che grida per le doglie e il travaglio del parto, di cui ci parla oggi il libro dell’Apocalisse, si riferisce più alla Chiesa che a Maria. Il bambino partorito rappresenta il bene che la comunità cristiana riesce ad esprimere. Esso avrà sempre l’apparenza di essere una realtà del tutto sproporzionata rispetto ai bisogni del mondo. Tuttavia, quell’enorme drago rosso con sette teste e dieci corna, simbolo del male pronto a divorarlo, si rivela in verità impotente perché Dio rapisce il bambino verso di lui e verso il suo trono. Proprio chi si fa piccolo e umile come Maria, lasciandosi trasformare dalla grazia, diventa capace di guardare la storia con gli occhi di Dio, di vedere la forza che si manifesta nella debolezza. La bella tradizione della Chiesa che ci invita a pregare la sera, nella liturgia delle ore, con le parole del Magnificat di Maria ci educa progressivamente alla virtù della speranza, imparando da lei ad annunciare il futuro della salvezza con i verbi al passato: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
“Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani”, ci ricorda una bella frase del Concilio Vaticano II. Vorrei esprimere, in tal senso, la mia vicinanza e il mio ringraziamento a tutti quei gruppi che nelle parrocchie, nei Vicariati e in Diocesi si impegnano con coraggio e perseveranza a pregare per la pace.
La terza immagine è quella delle primizie, di cui ci parla la seconda lettura, a proposito della risurrezione di Gesù: “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Maria, associata alla gloria del suo Figlio, è anche lei una primizia. Questa immagine allude ai primi frutti del raccolto che preannunciano il tempo finale della messe. La speranza va coniugata con l’attenzione ai germogli che devono essere protetti e custoditi con sapienza e creatività. Il rischio infatti è quello di cadere in facili ottimismi senza discernimento, come ci racconta con fine ironia la storia di una persona un po’ distratta. Una donna, che non aveva grandi risorse economiche, trovò un uovo. Tutta felice, chiamò il marito e i figli e disse: “Tutte le nostre preoccupazioni sono finite. Guardate un po’: ho trovato un uovo! Noi non lo mangeremo, ma lo porteremo al nostro vicino perché lo faccia covare dalla sua chioccia. Così presto avremo un pulcino, che diventerà una gallina. Noi naturalmente non mangeremo la gallina, ma le faremo deporre molte uova, e dalle uova avremo molte altre galline, che faranno altre uova. Così avremo tante galline e tante uova. Noi non mangeremo né galline né uova, ma le venderemo e ci compreremo una vitellina. Alleveremo la vitellina e la faremo diventare una mucca. La mucca ci darà altri vitelli, finché avremo una bella mandria. Venderemo la mandria e ci compreremo un campo, poi venderemo e compreremo, compreremo e venderemo”. Mentre parlava, la donna gesticolava. L’uovo le scivolò di mano e si spiaccicò per terra.
La vita di ognuno di noi è quel fragile uovo, chiamato a schiudersi e ad aprirsi alla vita. Preghiamo perché sappiamo sempre più metterci nelle mani salde e fedeli del Signore nostro Gesù Cristo affinché possa modellarci. Abbandonando la paura che questa sua presenza possa entrare in noi per mutilarci o indebolirci, potremo allora permettergli di darci la vita in pienezza e di renderci un giorno partecipi della sua gloria eterna, insieme a Maria sua madre e nostra madre.