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Olimpiadi: i ricordi dell’ex ginnasta toscano Jury Chechi

Medaglia d’oro agli anelli ad Atlanta 1994, in questi giorni è a Parigi in veste di commentatore tecnico per la Rai

Jury Chechi

Chiuderà i battenti l’11 agosto la trentatreesima edizione dei Giochi olimpici di Parigi. Gli occhi del mondo sono tutti rivolti verso la Francia e ogni angolo del pianeta, con i suoi atleti migliori, in questi giorni sono un pochino più vicini, accolti all’interno del villaggio olimpico allestito a due passi dalla Senna. Sogni di gloria e delusioni, competitività e spirito di fratellanza si mescolano insieme: un’esperienza di sport e di vita che Jury Chechi conosce benissimo.

Medaglia d’oro agli anelli ad Atlanta 1994, bronzo (importante più di un oro) nella stessa specialità e portabandiera italiano a Atene 2004, l’ex ginnasta toscano che a ottobre compirà 54 anni – in questi giorni proprio a Parigi in veste di commentatore tecnico per la Rai – ci racconta i suoi ricordi a «cinque cerchi».

Cosa rappresentano per un atleta le Olimpiadi?

«Parlo della mia esperienza personale, ma anche per altri atleti credo sia il punto di arrivo di una preparazione, di una carriera che, mi permetto di dire, nel 99% degli sport vede nei giochi olimpici la data più importante. Sempre di più le Olimpiadi rappresentano un punto di arrivo per molti sport e, di conseguenza, anche per tanti atleti».

Lei è un’icona olimpica italiana con i suoi successi ad Atlanta e Atene e con l’onore di essere stato portabandiera della delegazione. Cosa si prova in momenti del genere?

«Sono stati i momenti più importanti, da un punto di vista sportivo ma anche umano. L’oro di Atlanta lo considero il punto di arrivo per una carriera finalizzata solo per quello: io non ho avuto purtroppo la possibilità di partecipare a Barcellona nel ’92 quando probabilmente ero ancora più pronto per vincere più di una medaglia e c’è stata quindi questa rincorsa di quattro anni. Volevo confermarmi a Sidney nel 2000, ma anche lì un infortunio capitato un mese prima non me lo ha permesso. Ho voluto finire le Olimpiadi con un bronzo nel 2004 che, per me, vale come e più di un oro per come ci sono arrivato, l’età, il tipo di infortunio patito. Penso che, secondo la mia storia sportiva, le Olimpiadi mi abbiano reso un uomo migliore perché grazie a quelle esperienze ho scoperto delle potenzialità che non pensavo di avere, oltre che tante soddisfazioni».

Alle Olimpiadi si presentano sportivi tutti di altissimo profilo. Alla fine, cos’è che fa davvero la differenza per il successo?

«Quanto diceva il barone De Coubertin, l’importante è partecipare, personalmente non mi trova molto d’accordo, io ho sempre gareggiato solo per vincere, nel totale rispetto delle regole. Non ci sono riuscito sempre, ho anche perso, ma quello era il mio obiettivo. Ho tanti amici e colleghi invece che hanno preso parte ai Giochi in assoluta serenità senza l’ambizione di una medaglia, credo quindi che alle Olimpiadi si possa partecipare con diversi atteggiamenti e il compito dell’atleta è avere chiaro quale sia il suo obiettivo per poi raggiungerlo. Credo che questo sia l’aspetto che davvero conta, poi certo ci possono essere anche delle sorprese come atleti che non partivano favoriti e poi hanno vinto la medaglia, come del resto sportivi attesi che non ce l’hanno fatta. L’importante, alla fine, è che ognuno riesca a esprimere le proprie capacità per quello che ritiene essere il suo giusto obiettivo».

Al di là dell’aspetto sportivo, le Olimpiadi rappresentano un momento speciale anche per lo spirito che pervade i Giochi e lo stesso villaggio olimpico. È davvero un luogo dove le divergenze politiche, religiose si appianano?

«È una delle esperienze emotive più forti che uno sportivo possa provare. Non è il mondo perfetto, anche lì ci sono delle storture, ma al di là di questo posso dire di aver visto in sala mensa atleti con la tuta della Palestina con quelli israeliani a mangiare tranquillamente insieme, magari, non so, anche parlando di politica. Credo che mai come adesso considero questo un episodio da ricordare con grande piacere. Ho visto cristiani, musulmani e buddisti pregare insieme, nel rispetto totale della differenze. Non voglio ora fare il filosofo ecco, però effettivamente il villaggio olimpico e quel contesto, seppur non perfetto, offre molte più occasioni per capire che lo sport davvero unisce e azzera le differenze. Tutto lì si unisce, nella serenità e nel rispetto dei sacrifici che ognuno ha fatto per poter prendere parte a questa avventura nel pieno spirito olimpico».

Ha vissuto le Olimpiadi in doppia veste, sia da atleta che da commentatore sportivo. Che aria si respira in questa nuova edizione parigina rispetto alle altre a cui ha partecipato?

«Devo dire che le sensazioni che si ritrovano sono le stesse. Prima di partire c’è sempre una grande tensione, contiamo anche in questa edizione l’esperimento – che personalmente trovo fantastico – che i francesi hanno fatto con la cerimonia di apertura sulla Senna, però ecco ho respirato quel clima di aspettativa, ma anche di confusione, che contraddistingue un’Olimpiade. Ma devo dire che c’è anche grande entusiasmo, soprattutto perché dopo Tokyo stiamo vivendo un’edizione dei giochi olimpici con il pubblico che sicuramente, per gli atleti ma anche per tutti gli addetti ai lavori, è molto più appagante e emozionante».