Vita Chiesa

“Dal cammino sinodale un nuovo volto di Chiesa”

Intervista alla pratese Irene Sanesi che guida la commissione dedicata alla riforma delle strutture ecclesiali

Il Cammino sinodale delle Chiese italiane non va in vacanza: questi mesi estivi sono tempo di lavoro prezioso per il comitato organizzativo che sta preparando la terza e ultima fase, la «fase profetica». A settembre infatti saranno esaminati dal Consiglio permanente della Cei i Lineamenta, sintesi delle riflessioni e delle osservazioni pervenute dalle Chiese locali, dalle Commissioni sinodali, dagli uffici e dai servizi della Cei. Dal 15 al 17 novembre si svolgerà l’assemblea sinodale della Chiesa italiana, dove sulla base dei Lineamenta sarà elaborato uno Strumento di lavoro che sarà poi inviato a tutte le Chiese locali. Osservazioni e riflessioni saranno raccolte nella seconda assemble sinodale nazionale, dal 31 marzo al 4 aprile, da cui usciranno proposte e indicazioni concrete per la Chiesa italiana.
Nella presidenza del Cammino sinodale, che sta coordinando la preparazione di questa fase finale, c’è anche una toscana, Irene Sanesi. Commercialista, economa della diocesi di Prato, nella sua attività professionale si occupa principalmente di terzo settore, e in particolare di economia e fiscalità della cultura. A lei è stata affidata la guida della quinta commissione, quella che si occupa di «Cambiamento delle strutture». Un compito impegnativo: «Siamo arrivati a un momento cruciale – spiega – dal quale dovranno emergere le linee di indirizzo di quella che può essere una nuova visione di Chiesa, una Chiesa sinodale. Una visione innervata da proposte concrete, un piano operativo vero e proprio da mettere in atto nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle comunità»
Una visione che non sarà calata dall’alto: tutto il percorso è stato pensato per fare in modo che queste proposte operative raccolgano il contributo di tutti…
«La metodologia del Cammino sinodale è proprio questa, siamo partiti dal lavoro delle Chiese locali, i dati ci dicono che su 220 diocesi che ci sono in Italia sono arrivati i contributi di 190, quindi si sta parlando una partecipazione rilevante. L’ascolto delle Chiese locali è stato il momento di avvio di tutto il lavoro. Poi ci sono le cinque commissioni composte da persone scelte in base a determinati criteri per essere il più possibile rappresentative: in questa fase, le commissioni hanno lavorato in parallelo con le Chiese locali per poi affidare alla presidenza del comitato del Cammino sinodale, di cui anch’io faccio parte, una lettura complessiva di tutto il lavoro fatto finora».
Ci sono degli elementi da sottolineare?
«Un elemento che possiamo notare è che in tutta questa mole di contributi non abbiamo rilevato posizioni divergenti sui grandi temi che dovevamo affrontare: quello che emerge dalle Chiese locali, pur con enfasi che possono essere poste su un aspetto piuttosto che su un altro, è in larghissima parte coerente quello che emerge anche dal lavoro delle commissioni. C’è grande sintonia. La presidenza ha compiuto un lavoro di sintesi non banale, non era semplice sintetizzare un lavoro così ricco e così articolato. Ma tutta questa parte documentale è stata comunque messa a disposizione dei vescovi. Dalla mole di materiali arrivata emerge tutta la ricchezza e tutta la bellezza della Chiesa, il popolo di Dio si è sentito coinvolto, probabilmente di più nella fase iniziale, ma in generale è un lavoro che ha prodotto tanto».
E niente andrà perduto
«Spero di no. Adesso spetta ai vescovi rivedere tutto, poi ci saranno le due assemblee sinodali di novembre e di aprile-maggio che richiederanno di nuovo un bel coinvolgimento»
Nella sua commissione si è parlato di strutture, a partire dalle strutture materiali (chiese, canoniche, seminari, spazi aggregativi..). Quali difficoltà ci sono nella gestione attuale? Quali sono le direzioni da prendere?
«La mia commissione si è divisa in tre sottocommissioni, una sugli aspetti gestionali, una sul tema della corresponsabilità, la terza sul tema delle unità pastorali: quest’ultimo tema, che era trasversale, è stato poi ricongiunto con la prima commissione. Per quanto rigurda le strutture materiali, ci siamo concentrati sulla prospettiva di una pastorale integrata e sulla valorizzazione dei beni ecclesiali, in un’ottica ispirata a criteri di sobrietà, di essenzialità, di sostenibilità. Che significa intanto la necessità di fare una mappatura dei beni esistenti, che in certi casi rischiano, se sono abbandonati, di diventare anche un peso. Un patrimonio che invece potrebbero essere messo a disposizione di una rete che comprenda le parrocchie, le realtà del terzo settore, per essere utilizzato magari in maniera nuova, diversa. Abbiamo toccato temi abbastanza caldi, perché in questi decenni l’atteggiamento verso le strutture ecclesiali è stato quello di mantenere e conservare un patrimonio vasto, spesso anche di grande pregio. Oggi dobbiamo costatare come guardando a questi beni, dai seminari, alle case canoniche, fino a certi complessi monumentali, l’esigenza è di dare nuovi significati, pensare nuovi utilizzi che possano valorizzarli perché continuino a essere spazi vivi, orientati all’annuncio e alla missione».
Poi ci sono le strutture pastorali: organizzazione delle parrocchie, unità pastorali, uffici di curia… Quali urgenze sono emerse?
«Anche su questo ci sono riflessioni profonde, ci sono lavori in corso che toccano il tema della corresponsabilità, il ruolo dei laici nelle parrocchie, nelle diocesi.
Il vostro compito era anche quello di tradurre queste riflessioni in possibilità concrete, ripensando anche le forme di amministrazione.
«Il tema della corresponsabilità in questo momento è molto sentito ma non ha una traduzione giuridica. Il legale rappresentante di una parrocchia o di una diocesi è il parroco o il vescovo. L’attenzione, in questo percorso, è mirata a capire quali potrebbero essere delle modalità nuove dove la corresponsabilità, a partire dalla progettazione all’attuazione di attività pastorali, sociali, caritative, possa trovare una sintesi. Altro tema caldo è quello della formazione: oggi c’è una formazione distinta tra presbiteri e laici. Una delle idee più interessanti è che la formazione dei laici, intesa anche come formazione permanente, possa avere degli spazi comuni con quella dei presbiteri. I terreni comuni in questo momento non sono codificati, nè sotto il profilo giuridico, nè formativo. Sono lasciati magari alla buona volontà, all’intraprendenza di alcuni. Eppure sono terreni che mostrano una certa generatività, è importante capire come si possa meglio codificarli e renderli permanenti, non legati a esperienze estemporanee».
Per fare un esempio: trovare forme per cui la piccola parrocchia di campagna, dove non c’è il parroco residente, possa essere amministrata con la partecipazioni dei laici, salvo ovviamente gli aspetti liturgici o sacramentali che spettano al prete…
«Esattamente. Mi piace ricordare anche che la commissione che coordino ha beneficiato di un percorso che gli economi diocesani hanno già avviato, ad esempio sulla necessità di trasparenza, su quanto sia importante rendere conto di ciò che si fa. Che non significa solo comunicare un bilancio, ma essere trasparenti ad esempio nelle decisioni, nei processi decisionali. Un percorso che tocca anche altri aspetti su cui la Cei ci sta stimolando già da alcuni anni come la sostenibilità ambientale, le comunità energetiche rinnovabili, i gruppi d’acquisto per beni e servizi: sono anche queste forme di sinodalità operativa tra parrocchie e anche tra diocesi».
Sinodalità significa anche camminare insieme superando, ad esempio, la concezione di parrocchie come isole separate.
«La sinodalità sta diventando un modus operandi, questo è importante. Nel Cammino sinodale si è rilanciata anche la riflessione sulle soluzioni da attuare perché il parroco possa fare il pastore e non sia oberato da altri pesi».
Scrive papa Francesco: «La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie». Come si traduce in concreto?
«Questa è la grande domanda cui il Cammino sinodale dovrà rispondere. E sarà importante avere sempre presente che al fondo c’è questa necessità di conversione».