Come va interpretata la terza parte del segreto di Fatima?
Un angelo, una donna vestita di sole, una città in rovina, una croce sul monte
Buona sera, sono un catechista di adolescenti nella mia unità pastorale. Potreste darmi, per favore, un’interpretazione teologica del 3° segreto di Fatima?
Paolo Zola
Risponde don Diego Pancaldo, docente di Teologia spirituale
Un autorevole commento teologico alla terza parte del segreto di Fatima è stato scritto da Joseph Ratzinger, come prefetto della Congregazione della dottrina della fede, il 26 giugno del 2000. Egli vi intravede due scene di carattere simbolico. Nella prima scena, dove un angelo con la spada fiammeggiante incendia il mondo e grida tre volte: «Penitenza!», la Donna vestita di sole appare come «la forza che si contrappone al potere della distruzione». È Lei che «neutralizza le forze del male e la persecuzione della Chiesa da parte di governi atei con l’uccisione di vari membri della Chiesa, a cominciare da papa e vescovi». (De Fiores). Per Ratzinger il punto decisivo di questa terza parte è infatti il triplice grido dell’angelo che per tre volte grida: «Penitenza, penitenza, penitenza!». È il richiamo urgente alla conversione, alla fede, quale risposta adeguata in un momento storico denso di grandi pericoli: «L’angelo con la spada di fuoco a sinistra della Madre di Dio ricorda analoghe immagini dell’Apocalisse. Esso rappresenta la minaccia del giudizio, che incombe sul mondo. La prospettiva che il mondo potrebbe essere incenerito in un mare di fiamme, oggi non appare assolutamente più come pura fantasia: l’uomo stesso ha preparato con le sue invenzioni la spada di fuoco. La visione mostra poi la forza che si contrappone al potere della distruzione — lo splendore della Madre di Dio, e, proveniente in un certo modo da questo, l’appello alla penitenza».
Ratzinger sottolinea che ciò valorizza la libertà umana, l’impegno dell’uomo a collaborare con il piano di Dio: «il futuro non è affatto determinato in modo immutabile, e l’immagine, che i bambini videro, non è affatto un film anticipato del futuro, del quale nulla potrebbe più essere cambiato. Tutta quanta la visione avviene in realtà solo per richiamare sullo scenario la libertà e per volgerla in una direzione positiva. Il senso della visione non è quindi quello di mostrare un film sul futuro irrimediabilmente fissato. Il suo senso è esattamente il contrario, quello di mobilitare le forze del cambiamento in bene».
La seconda scena ci presenta una città in rovina, una strada dove giacciono molti cadaveri, una montagna al cui vertice si trova una grande croce. Qui vengono uccisi il vescovo vestito di bianco e molti altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, uomini e donne secolari. Sotto la croce due angeli irrigano le anime con il sangue dei martiri. Per Ratzinger «montagna e città simboleggiano il luogo della storia umana: la storia come faticosa ascesa verso l’alto, la storia come luogo dell’umana creatività e convivenza, ma allo stesso tempo come luogo delle distruzioni, nelle quali l’uomo annienta l’opera del suo proprio lavoro. La città può essere luogo di comunione e di progresso, ma anche luogo del pericolo e della minaccia più estrema. Sulla montagna sta la croce — meta e punto di orientamento della storia. Nella croce la distruzione è trasformata in salvezza; si erge come segno della miseria della storia e come promessa per essa». Per Ratzinger si tratta di una visione consolante, «che vuole rendere permeabile alla potenza risanatrice di Dio una storia di sangue e lacrime. Angeli raccolgono sotto i bracci della croce il sangue dei martiri e irrigano così le anime, che si avvicinano a Dio. Il sangue di Cristo e il sangue dei martiri vengono qui considerati insieme: il sangue dei martiri scorre dalle braccia della croce. Il loro martirio si compie in solidarietà con la passione di Cristo, diventa una cosa sola con essa. Essi completano a favore del corpo di Cristo, ciò che ancora manca alle sue sofferenze (cfr Col 1, 24). La loro vita è divenuta essa stessa eucaristia, inserita nel mistero del chicco di grano che muore e diventa fecondo. Il sangue dei martiri è seme di cristiani, ha detto Tertulliano». Per Ratzinger in questa visione si può certamente riconoscere il Novecento come «secolo dei martiri, come secolo delle sofferenze e delle persecuzioni della Chiesa».
Da Pontefice, tuttavia, il 13 maggio 2010, la presentò come una profezia aperta, non completamente adempiuta: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa». Ne riassumeva così il senso complessivo: «Con la famiglia umana pronta a sacrificare i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo, è venuta dal Cielo la nostra Madre benedetta offrendosi per trapiantare nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo».
Un messaggio di grande attualità poiché, come scriveva Giorgio La Pira nel libro Vita interiore di Don Luigi Moresco, pubblicato nel 1945, «bisogna rimettersi a vedere le cose dall’angolo visuale della grazia di Cristo. I problemi della pace e della guerra, i problemi della libertà e della fraternità sono condizionati da un problema anteriore: quello dell’accettazione della grazia di Cristo».