Vita Chiesa

Nelle parrocchie toscane è tempo di Grest

Un'esperienza che cambia la vita: ne è sicuro don Stefano Papini, responsabile regionale della pastorale giovanile

Molte parrocchie, un po’ in tutta la Toscana, sono impegnate in questi giorni con i Grest, gli oratori estivi e tutte quelle esperienze che portano in parrocchia centinaia di bambini e bambine. Esperienze che possono cambiare la vita per chi le vive e per chi le organizza. Ne è sicuro don Stefano Papini, parroco in diocesi di Grosseto, incaricato regionale per la Pastorale giovanile
Don Stefano, cosa si fa in un Grest?
«In un Grest si cambia, si cresce. La risposta può sembrare più esistenziale e poco pretica, però questa è la verità. Si cresce, si cambia e lo si fa insieme. Uno spazio diurno, non residenziale: non si rimane a dormire. Si svolge in genere nell’oratorio, o negli spazi della parrocchia, dove vengono chiamati a raccolta bambini delle elemetari o delle medie, che vengono accompagnati e seguiti da educatori che sono in genere adolescenti o giovani, insieme a equipe di adulti che curano soprattutto le mansioni tecniche o organizzative».
A cosa serve?
«Serve anche a offrire alle famiglie, terminato il tempo scolastico, la possibilità di avere uno spazio per i propri figli. In questo senso quindi è un sostegno dato ai genitori che lavorano. Non è questo comunque lo scopo primario. Il Grest è la continuazione nei mesi estivi di un percorso pedagogico, di formazione che le parrocchie e gli oratori offrono durante tutto l’anno, sia pure con modalità diverse. Una formazione che è anche formazione alla vita cristiana, che nel Grest prosegue in modo particolare e bellissimo. È anche un’esperienza missionaria, ed è questo direi lo scopo principale: è un momento in cui la comunità tutta si mette in gioco, dai bambini, alle famiglie, ai ragazzi che si mettono a servizio come animatori, ai sacerdoti, i religiosi, le religiose… Un’esperienza missionaria di annuncio, di presenza, un segno bello nel territorio, nel paese, nel quartiere. Un momento in cui le parrocchie si aprono, diventano casa, offrono un tempo rilassato e lieto ma con un orientamento ben preciso, un percorso di crescita umana e cristiana. In questo senso il Grest ha davvero tante cose dentro».
Questa proposta si sta diffondendo sempre di più in tante parrocchie, perché? Che frutti può dare alla comunità?
«Si sta diffondendo perché funziona, perché è un’esperienza bella, significativa. Una dimostrazione chiara di quanto mettersi a servizio dell’umanità sia profondamente cristiano, profondamente evangelico e come tale porta frutti belli nelle persone, nelle famiglie, nelle parrocchie che si rianimano. Funziona, attrae, fa fare esperienze di gratuità, di generosità. Si organizza con facilità anche se non è banale, soprattutto se si vuole che il progetto pedagogico abbia una certa consistenza. Non ho mai visto un’esperienza di Grest che non abbia dato alla parrocchia o all’oratorio dei frutti belli, frutti di umanità. Per i ragazzi, gli adolescenti, ha una grande potenza: fanno una bella esperienza di gratuità, di dono. Fanno un lavoro che sarebbe sfiancante se non fosse fatto con passione e generosità. Vedo che per loro diventa un’occasione sensazionale, gli svolta la vita. Questa cosa diventa un fermento, un lievito. Ho visto ripartire percorsi di fede, famiglie che attraverso l’accoglienza data ai figli poi si mettono a servizio della comunità. Si riattivano processi, si ridefiniscono i profili delle parrocchie in chiave missionaria, ad esempio privilegiando l’accoglienza di chi ha difficoltà economiche o situazioni difficili, oppure promuovendo dinamiche di sostenibilità ambientale nelle scelte quotidiane».
Cosa c’è di diverso in un Grest parrocchiale rispetto ai centri estivi organizzati da altre realtà?
«Oltre a tutti gli aspetti che ho già detto, c’è il fatto che tutto verte intorno a un tema che in genere è di origine biblica, o di profumo evangelico. Questo dà il tono a tutta l’esperienza. Ci sono incontri con testimoni della fede, gite e uscite che portano a conoscere luoghi del territorio che sono patrimonio di fede. Una Chiesa che vuole offrire il cibo buono della fede a chi venendo in parrocchia o all’oratorio aderisce a una proposta. Chi viene magari non ha una forte motivazione religiosa, ma sa bene che siamo all’ombra del campanile e questo è molto bello, c’è la chiarezza di una proposta, si sente il Vangelo vivo, lo spirito ecclesiale. Poi al Grest ci sono la musica e il ballo che hanno un ruolo importantissimo, al Grest si gioca, ci si sporca, ci si compromette, ci si sbucciano i ginocchi ma senza quelle forme di competizione o di mero intrattenimento che prevalgono in altri luoghi»
Quali caratteristiche servono per fare l’educatore?
«Serve la disponibilità a lasciarsi sconvolgere dalla piccolezza di Dio, questo è veramente importante. Insieme, credo, a una buona dose di vitalità, un po’di senso di responsabilità, la disponibilità a lavorare insieme, la capacità di sopportare il caldo e la fatica, la voglia di annunciare Gesù e una disperata voglia di amicizia e di essere felici. Perché nel Grest gli animatori hanno tanto tempo da passare insieme a organizzare, giocare, pregare, innamorarsi: c’è da sporcarsi le mani e il cuore, e in questo i ragazzi e le ragazze ci sguazzano perfettamente».